Mariagrazia Fiorentino – Foto Donatello Urbani

Circa trenta opere, alcune di notevole interesse, ci descrivono il suggestivo percorso artistico di uno dei maggiori esponenti della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo”  che la critica d’arte definisce “il più emotivamente raffreddato, (M. G. Messina), evidenziandone i passaggi sostanziali e la coerenza poetica e formale sempre mantenuta dai primi esiti alle ultime produzioni. Pur nella pluralità dei linguaggi utilizzati e nella poliedricità dei suoi intenti, il lavoro di Renato Mambor continuativamente parla di osservazione, linguaggio, comunicabilità e relazione con l’altro”.

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“Uomo geografico”

Il percorso artistico inizia nel 1958 con una tempera su carta “Senza titolo” appartenente, come riportato sul comunicato stampa: “ad una fase ancora di ricerca e sperimentazione, con delle tangenze all’Informale appena trascorso (ancora non si firma Mambor, ma Mambo). E’ questo il momento delle prime mostre importanti: il Premio Cinecittà del 1958 e l’anno successivo Mambo(r), Schifano, Tacchi, a cura di Emilio Villa alla Galleria Appia Antica”. Dopo un lungo periodo dove sperimentazione e utilizzo di materiali vari sono al centro dell’attività artistica di Mambor che spazia oltre quella figurativa nel teatro e nel cinema, c’è un ritorno alla pittura come attestato da alcune opere, presenti in mostra, realizzate nel 1987 quando questa: “torna ad assumere una parte preponderante nella sua produzione. A questo periodo appartengono i lavori: Gli Osservatori (Maschera), 1983; Osservatori bianchi, 1996; L’uomo geografico/ fondo grigio, 2012; Le Coltivazioni Musicali, 2011. “Nei primi anni ’80 ho iniziato a lavorare su un’esperienza estetica che ho definito l’Osservatore […]  Non mi interessa chi è la persona, l’osservatore non è un ritratto alla persona, ma mi interessa ciò che la persona fa: l’atto di osservare” (parole dell’artista). Anche la scultura diventa parte strutturale della nuova produzione di Mambor, in una ricerca sullo spazio e sul modo di occuparlo, probabile eredità dell’esperienza teatrale. Chiude la mostra il lavoro Fili, 2012. Una serie di rocchetti di fili colorati è disposta su una parete secondo una sequenza lineare; una doppia sagoma tiene in mano una matassa. Unità separate all’occhio dello spettatore sono in realtà legate tra loro; immobili eppure in azione”. “Non c’è niente e nessuno che sia veramente separato dal resto, la vita stessa si manifesta in relazione. Tra il pittore e il fare il quadro, tra il dipinto e lo spettatore…Questi Fili nell’arte sono ciò che ci lega ai compagni di strada, alla storia contemporanea, al passato, alle diverse forme d’arte”. (R. Mambor)

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“Chiudere la porta”

Roma – Galleria Tornabuoni Arte – Via Bocca di Leone, 88 fino al 24 settembre 2024 con orario dal Martedì al Sabato h 10.00-13.00 / 14.00-19.00. Per saperne di più email roma@tornabuoniarte.it |tel. +39 06 98381010 –  Instagram| @tornabuoniart