“Alighiero Boetti Cabinet de Curiositès” in mostra nella sede romana di Tornabuoni Arte fino al 22 febbraio 2025.

Mariagrazia Fiorentino – Foto Donatello Urbani

“Non parto; non resto – Nel dubbio funesto” – Alighiero Boetti

Di Alighiero Boetti molti di noi conoscono le opere, ben pochi se non i più intimi e vicini, hanno avuto l’opportunità di conoscerlo a fondo nei suoi hobby, le sue raccolte di oggetti e foto e tutto quel mondo di appunti, schizzi, scritti e memorie che gravitano intorno ad un artista e dal quale egli stesso, dopo un’accurata elaborazione, trae ispirazione per la realizzazione delle proprie opere. Boetti è uno dei maggiori esponenti del movimento artistico che va sotto il nome di “Arte Povera” che nasce in Italia negli anni Sessanta del Novecento, “in contrapposizione all’arte tradizionale ed elaborare un linguaggio in grado di ridurre all’essenziale, di “impoverire” l’opera in altri termini, e che fosse più adatto a quello della società contemporanea” (Germano Celant).

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“Il muro progressivo” che egli accumulò in un ventennio non era un’impresa artistica in senso stretto: era nato come iconostasi privata della sua esistenza e del suo dialetto, nonché come taccuino di appunti, di progetti da sviluppare. (Annemarie Sauzeua Boetti) 

A trent’anni dalla sua scomparsa la Galleria Tornabuoni arte, nella sua sede romana di Via Bocca di Leone, n.88, rende omaggio a Boetti, da comunicato stampa:  “….presentando un progetto di mostra che si configura come un inedito e privilegiato punto di accesso al suo mondo. Al centro del percorso espositivo non ci sono solo opere, ma anche Boetti stesso, con la sua vita, i suoi processi mentali, matematici, combinatori, di gioco: da qui il titolo Cabinet de Curiositès……

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Un giorno ho regalato a Matteo una busta di animali di plastica. ho pensato (io) di fare una piccola prateria nello studio di Alighiero. Con una vecchia porta e sei mattoni. Poi abbiamo continuato con quelli preistorici. Il tappeto è piccolo nell’angolo é per sedersi e guardare. Lo chiamiamo il tappeto volante perché sembra di essere in alto e loro sono piccoli sotto. (Agata Boetti).

Questi animali portano in se il ricordo di milioni e milioni di loro predecessori e ricordano il tempo, quello antico, lento anonimo, identico, immobile, invariato. (Alighiero e Boetti)

Ben oltre il valore documentario presente in ciascuna opera/oggetto esposta si può avvertire l’amore, quasi una venerazione, che hanno nutrito per questo artista raccogliendoli e conservandoli negli anni tanto la figlia Agata quanto l’amico Giorgio Colombo, autore di una serie di fotografie realizzate negli anni 1966/1993 che immortalano momenti significativi della vita artistica e familiare di Alighiero Boetti.

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Roma – Galleria Tornabuoni Arte n- Via Bocca di Leone,88 – Fino al 22 febbraio 2025 dal martedi al sabato dalle ore 10,00 alle 13.00 e dalle 14,00 alle 19,00. Info email roma@tornabuoniarte.it tel. 06.98381010 instagram I @tornabuoniart

Musei Vaticani – Il restauro dell’Apollo del Belvedere – Un Equilibrio tra Tecnologia e Filologia

Mariagrazia Fiorentino – Foto Donatello Urbani

L’Apollo del Belvedere fu un’acquisizione di Papa Giulio II nel 1508/1509 e per molti anni, rimase nelle collezioni vaticane quasi integro, salvo varie sostituzioni e rifacimenti che interessarono per lo più entrambe le braccia, effettuate da Giovannangelo Montorsoli, come testimoniato da Giorgio Vasari. Le vicende successive non giovarono troppo alla statua, compreso il trafugamento da parte di Napoleone, suo trasferimento a Parigi su un carro militare e successivo rientro a Roma, sia pure con tutte le accortezze e precauzioni del caso, messe in opera da Antonio Canova.

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Da comunicato stampa: “nel dicembre 2019 il monitoraggio, cui l’Apollo era sottoposto da qualche anno, rileva delle importanti criticità strutturali che impongono una tempestiva messa in sicurezza. Le gambe della statua mostravano evidenti fragilità: fratture ormai da secoli all’altezza delle ginocchia e delle caviglie, in più punti mancavano completamente della materia marmorea sostituita dalla resina poliestere in occasione di un intervento di restauro di 40 anni fa…..Ingegneri e specialisti nella progettazione strutturale si sono avvalsi di tecnologie e materiali all’avanguardia con la supervisione del Laboratorio Materiali  Lapidei e la stretta  collaborazione del Gabinetto di Ricerche Scientifiche. L’obbiettivo comune è stato garantire una nuova solidità alla statua intervenendo sulla stessa con la maggior cautela possibile, utilizzando solo fori e incassi già esistenti. Una barra in fibra di carbonio è stata inserita nel basamento marmorea, all’interno dell’incavo che fino al 1980 aveva ospitato il “ferro” ottocentesco. In alto la barra si collega ad un sofisticato sistema di tiraggio che utilizza un grande foro già presente nella schiena.

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Successivamente è stata avviata la fase di pulitura, altrettanto delicata e complessa che ha ripristinato la luminosità delle superfici marmoree. Il modellato è di nuovo morbido e vibrante e tra i riccioli riemerge la policromia violacea che tradisce la preparazione di doratura delle chiome.

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Uno straordinario ritrovamento negli anni Cinquanta del secolo scorso permise di recuperare tra le rovine del Palazzo Imperiale di Baia, a nord di Napoli, centinaia di frammenti in gesso appartenenti ad un’officina che possedeva calchi tratti direttamente dagli originali capolavori della bronzistica greca del V e del V secolo a.C. Tra questi frammenti venne riconosciuta anche la mancante mano sinistra dell’Apollo del Belvedere. E’ sembrato giusto cogliere l’occasione del presente restauro per restituire al dio saettante la mano “originale” inserendo, al posto di quella del Montorsoli, un calco del gesso di Baia: il gesto è divenuto più naturale, la mano proporzionata e leggera.”

Un intervento questo tecnologico e filologico che rende onore alle maestranze presenti nei Musei Vaticani e, nello stesso tempo, testimonia l’amore e la cura riservata all’arte e alla bellezza nel nostro paese.

“Arte fuori dal Museo” – Una collaborazione tra Museo Nazionale Romano e Bettoja Hotels con il coinvolgimento della Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, Federalberghi Lazio, LoveItaly e di alcuni sponsor privati, per la valorizzazione dell’arte Giacente (nascosta) nei depositi

Mariagrazia Fiorentino – Foto Donatello Urbani
Una stima fin troppo benevola indica in 5 milioni l’ammontare dei reperti archeologici custoditi nei depositi dei vari musei – il solo Museo Nazionale Romano ne annovera circa un milione – molti dei quali conosciuti solo dai pochi eletti addetti ai lavori e completamente ignorati dalla grande massa delle persone, inclusi il gran numero di amanti dell’archeologia. Un primo tentativo di risolvere questa situazione fu compiuto molti anni fa dall’allora Ministro dei Beni Culturali Valter Veltroni e solo oggi 15 ottobre 2024 è giunto a compimento il primo progetto presso il Bettoja Hotel Mediterraneo con l’esposizione di una statua di marmo romana del II secolo d.C. raffigurante la Dea Roma o Virtus.
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Da comunicato stampa: “…. È questa la prima delle iniziative previste dal progetto “Arte fuori dal Museo”, promosso nell’ambito del protocollo d’intesa siglato dalla Direzione generale Musei del Ministero della Cultura con l’Associazione non-profit LoveItaly, avvalendosi della rete degli hotel aderenti nella regione Lazio al sistema Federalberghi, con l’obiettivo di rendere fruibili al pubblico opere archeologiche e storico-artistiche che sono oggi conservate nei depositi dei musei e bisognose di restauro, esponendole nei locali degli hotel. I contenuti e le modalità innovative del progetto “Arte fuori dal Museo” sono stati illustrati dal presidente del gruppo Bettoja Hotels Maurizio Bettoja, dal direttore del Museo Nazionale Romano Stéphane Verger, dalla vicepresidente di LoveItaly Tracy Roberts, dal coordinatore del progetto Carlo Felicioni, dal presidente di Federalberghi Lazio Walter Pecoraro, dal presidente di Federalberghi Roma Giuseppe Roscioli. Al termine dell’esposizione al Bettoja Hotel Mediterraneo, prevista per 12 mesi, l’opera tornerà al Museo Nazionale Romano per una nuova collocazione nelle sale espositive ….”
Foto nel deposito del MNR
                                                           Statua giacente nei depositi prima del restauro
Il Bettoja Hotel Mediterraneo che ha finanziato il restauro, il trasporto e l’allestimento all’interno di una teca protettiva nella grande hall, è uno dei più importanti esempi di architettura razionalista a Roma, dagli splendidi interni perfettamente conservati e restaurati. Fra questi, vi è la celebre hall, ambiente originale degli anni Quaranta.
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Come ha affermato con piena soddisfazione il Dott. Maurizio Bettoja, Presidente Bettoja Hotels: “Gli interni sono ricchi di marmi e mosaici ed hanno un tema ispirato alla mitologia ed alla romanità, con le raffigurazioni di Ulisse ed il suo viaggio, di Prometeo, Nettuno ed Anfitrite, Polifemo, e la grande mappa del Mediterraneo, che la dea Roma richiama e riassume”.
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Mosaico in legno presente nella sala bar con la rappresentazione di un rebus. Agli ospiti dell’hotel viene proposta la risoluzione. Al momento non esiste una soluzione soddisfacente.
Da comunicato stampa: “La dea, indentificata con una personificazione di Roma e del suo Impero, o del valore militare romano, indossa un elmo con pennacchio sui capelli raccolti, una corta tunica che lascia il seno destro scoperto e un mantello fermato sulla spalla sinistra da una fibula circolare. Il balteo (cintura a tracolla alla quale i soldati romani appendevano la spada) le attraversa il petto dalla spalla destra al fianco sinistro. Con la mano sinistra regge un’asta, mentre con la destra, ora perduta nonostante il puntello che la collegava alla coscia, sosteneva la corta e larga spada senza punta (parazonio) che i tribuni militari e gli ufficiali superiori portavano come segno di distinzione. Ai piedi calza gli “endromides” (stivaletti greci “da corsa”, usati specialmente per la caccia, aderenti alla gamba e aperti davanti con allacciatura intrecciata). La gamba sinistra aderisce ad un tronco d’albero in funzione di sostegno. L’influenza della tradizione classica greca è visibile specialmente nel costume, ispirato alle raffigurazioni delle Amazzoni. Datazione: II secolo d.C. Materiale: marmo bianco a grana fine Misure: altezza 74,5 cm, lunghezza 26,5 cm, profondità 20 cm. Provenienza ignota. Stato di conservazione: buono sebbene ricomposta da più frammenti (quello comprendente la mano sinistra e parte della lancia forse non pertinente, data la sproporzione) e mancante della mano destra”.
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Per saperne di più è possibile visionare foto e documenti digitali su Google Drive: https://drive.google.com/drive/folders/1MwwGwf9Fb6h82MIZRId-RycMfHlbd06E  Video Storia del progetto di restauro della Statua Dea Roma: https://www,museonazionaleromano.art.centrica.it

Il francescanesimo a Roma – Museo di Roma Palazzo Braschi – con la mostra: “Laudato sie: Natura e Scienza. L’eredità culturale di Frate Francesco” fino al 6 gennaio 2025

Donatello Urbani

Un evento più che una mostra che ruota intorno al “Cantico delle Creature”, un testo straordinario che ha anche dato l’incipit alla letteratura italiana. Il percorso espositivo allestito al secondo piano di Palazzo Braschi vuole essere un itinerario nato dall’intuizione di Frate Francesco con un inedito sguardo sul mondo culturale e scientifico francescano che in linea con il pensiero dominante in quegli anni analizza le cosi dette scienze naturali: matematica, astronomia, fisica e medicina, attraverso 93 rari e preziosi manoscritti medievali e antichi testi a stampa, alcuni esposti al pubblico per la prima volta.

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                                                                              Raimondo Lullo “Arbor scientiae” – Lione 1635

Questa rassegna nasce oltre che per ricordare l’ottavo centenario della composizione del “Cantico di Frate Sole” o “Cantico delle Creature”, la cui più antica copia risalente al 1285 ed esposta in questa rassegna, è custodita nella biblioteca del Sacro Convento di Assisi, anche la ricorrenza dell’ottocentesimo anniversario della morte di San Francesco avvenuta nel 1226.

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                                                  Giovanni éPaolo Gallucci “Theatrum mundi et temporis” – Venezia 1588

La mostra prevede un ampio ricorso al linguaggio multimediale, in particolare con due ambienti immersivi, uno all’inizio del percorso dedicato al Cantico di Frate Sole che permette di entrare in contatto con l’innovazione della visione del mondo e il sentimento religioso universale del Santo di  Assisi e uno al termine della visita Cum tucte le tue creature: piante, animali e uomini nel quale si richiama l’attenzione sugli sviluppi delle scienze nel corso dei secoli in una visione “integrale” del Creato.

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                                                      Juan Amusco de Valverde “La autonomi del corpo umano” – Venezia 1588

L’accurata selezione dei 93 manoscritti e libri scientifici a stampa esposti, curata da un prestigioso comitato scientifico, è stata raccolta in nove sezioni:

Laudato sie: lo stupore riconoscente di fronte al Creato.  L’ispirazione delle origini: Bibbia, Teologia, Filosofia

I Francescani e il sapere enciclopedico.

 Sora luna e le stelle: astronomia e geografia.  

Del numero e della visione: matematica e ottica.

Nel mondo tutto è movimento: la fisica.

Gli elementi, i minerali, i metalli e la loro trasformazione: l’alchimia.

La Fabrica del corpo: medicina, anatomia e chirurgia.

Cum tucte le tue creature: piante, animali e uomini.

Di particolare interesse per la città di Roma la sezione La Fabrica del corpo: medicina, anatomia e chirurgia dove emerge l’interesse che i francescani ebbero anche per la medicina e per tutto ciò che vi era connesso, per la presenza, oltre quella del Policlinico fondato dal frate francescano Agostino Gemelli, ritenuta la migliore struttura ospedaliera presente in Italia, anche di prestigiose di facoltà, medicina e farmacia.

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                                                                       Ambroise Parè “Opera chirurgica” – Francoforte 1594

Una rassegna questa che va oltre la semplice esposizione di preziosi reperti ma testimonia un ritorno più pensoso e consapevole al Cantico di Frate Sole, alla luce di quella che è stata la concreta esperienza dei seguaci di frate Francesco che, come affermato dai curatori, “non sono solo una sublime, episodica e inimitabile, intuizione estatica, bensì un senso di comunione con Dio e la natura ispiratrice di un percorso di pensiero che, senza rifuggire dall’impegno appassionato e faticoso della ricerca intellettuale, può maturare in una visione del mondo”.

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                                                                          Iacopo Dondi “Erbario volgare” – Venezia 1536

Museo di Roma – Palazzo Braschi – Piazza San Pantaleo, 10 – Piazza Navona, 2 – 00186 Roma fino al 6 gennaio 2025. Dal martedì alla domenica ore 10:00-19:00. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Nei giorni 24 e 31 dicembre orario 10:00-14:00. Giorni di chiusura lunedì e 25 dicembre. Costi biglietto d’ingresso: INTERO € 13,00 – RIDOTTO € 11,00 – SPECIALE SCUOLE € 4,00 ad alunno (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni) – SPECIALE FAMIGLIA € 22,00 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni) – SPECIALE FAMIGLIA € 11,00 (1 adulto più figli al di sotto dei 18 anni) BIGLIETTO CUMULATIVO MUSEO DI ROMA + MOSTRA: € 18,00 biglietto “cumulativo” intero per i residenti a Roma non possessori della “MIC Card”; € 14,00 biglietto “cumulativo” ridotto per i residenti a Roma non possessori della “MIC Card”; € 19,00 biglietto “cumulativo” intero per i non residenti a Roma; € 15,00 biglietto “cumulativo” ridotto per i non residenti a Roma; Ingresso con biglietto gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente.

Ingresso con biglietto gratuito al solo Museo di Roma per i possessori della “MIC Card”, i quali potranno, invece, accedere alla Mostra con l’acquisto del biglietto “solo Mostra” ridotto secondo la tariffazione sopra indicata. I possessori della “ROMA PASS” potranno accedere alla Mostra con l’acquisto del biglietto “solo Mostra” ridotto secondo la tariffazione sopra indicata. Si precisa che, nel caso in cui le tariffe della biglietteria dovessero cambiare in seguito alla firma della presente Convenzione e/o durante il periodo di Mostra, anche la biglietteria della Mostra potrà proporzionalmente modificarsi rispetto a quanto sopra indicato restando però invariato il valore dell’integrazione sopra indicata ad eccezione delle seguenti ricorrenze: le eventuali giornate in cui è prevista l’emissione di un biglietto d’ingresso al Museo e alla Mostra gratuito secondo disposizioni istituzionali; le eventuali aperture straordinarie stabilite dall’Amministrazione di Roma Capitale; l’esposizione di una ulteriore mostra all’interno di altre sale del Museo

Da comunicato stampa:

Nel 1225, in un momento di grande sofferenza, Francesco, afflitto da gravi e dolorose malattie, invoca Dio il quale gli si rivela promettendogli il Paradiso come ricompensa.

A seguito di questa rassicurazione – nota come certificatio – Francesco compone delle Laudi di ammirazione estatica per la bellezza della natura e del creato.

La copia più antica del Cantico di Frate Sole, custodita nella Biblioteca del Sacro Convento di Assisi, è arrivata a noi in una raccolta di fascicoli del XIII secolo riguardanti san Francesco, le origini dell’Ordine dei frati Minori e santa Chiara.

L’innovazione di san Francesco consiste nel riconoscere una inusuale fratellanza tra tutti gli esseri inanimati del creato: il Sole, la Luna, le Stelle, il Vento, l’Acqua e il Fuoco.

Ode di riconciliazione e rispetto tra uomo e natura, il Cantico è un inno profondamente moderno e

universale che ha attraversato indenne ottocento anni della nostra storia.

Cantico di Frate Sole

Altissimu, onnipotente, bon Signore,

Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedizione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfane,

e nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tutte le Tue creature,

spezialmente messor lo frate Sole,

lo qual è iorno et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:

de Te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:

in celu l’ài formate clarite e preziose e belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento

e per aere e nubilo e sereno et onne tempo,

per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua,

la quale è multo utile et humile e preziosa e casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,

per lo quale ennallumini la notte:

et ello è bello e iocundo e robustoso e forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,

la quale ne sustenta e governa,

e produce diversi frutti con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore

e sostengo infirmitate e tribulazione.

Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,

ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullu homo vivente po’ skappare:

guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,

ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore e rengraziate

e serviateli cum grande humilitate.

Francesco d’Assisi

 

Nimbus Limbus Omnibus in esposizione a FOROF – Palazzo del Gallo di Roccagiovine – (Foro di Traiano) fino al 30 giugno 2025.

Donatello Urbani

Le tre parole – Nimbus Limbus Omnibus – titolo di questa esposizione -, facevano parte in epoca romana dell’allocuzione “manumissio” pronunciata dal magistrato nel corso dell’atto liberatorio degli schiavi dallo stato servile. Questo richiamo alla libertà è il tema scelto dal collettivo artistico viennese dei Gelitin/Gelatin  per la quarta Stagione del loro vasto progetto espositivo che ha per titolo proprio Nimbus Limbus Omnibus preparato per FOROF, realtà unica a Roma che combina archeologia e arte contemporanea fondata da Giovanna Caruso Fendi.

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I Gelitin/Gelatin hanno concepito un’installazione suggestiva, come una sorta di rito o processione, che offre una riflessione sul tema della “liberazione”, intesa come passaggio da uno stato all’altro e, come evidenzia Bartolomeo Pietromarchi, curatore: “il titolo può essere interpretato come il momento in cui ciascuno di noi (omnibus) si trova in uno stato di transizione, un passaggio indefinito come una nube eterea (nimbus) o un confine (limbus), che nella visione degli artisti si riferisce al potere liberatorio della loro arte dalle convenzioni, dai pregiudizi e dai tabù, sia a livello individuale che collettivo. Dopo il primo ingresso dei Gelitin/Gelatin nell’ipogeo di FOROF è stato chiaro da subito che l’obiettivo fosse di instaurare, sì una relazione con il luogo, ma anche di affermare una forte presenza. Ne è nato un lavoro complesso e affascinante al tempo stesso. Gli artisti hanno creato una scultura performativa che coinvolge fisicamente lo spettatore, che viene guidato attraverso una drammaturgia di crescente intensità e che culmina in questa visione in cui le opere si presentano come apparizioni, ma che assumono, per certi versi, anche un aspetto inquietante.

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Da comunicato stampa; “L’esposizione è pensata come un’installazione unica, suddivisa in due nuclei, che trasforma l’ipogeo di FOROF. La prima parte consiste in una moltitudine di oggetti, sculture e accessori di scena creati dagli artisti nell’arco di 25 anni di attività, utilizzati nelle loro mostre e performance, e allestiti come un grande deposito o archivio della memoria, evocando le catacombe romane. Il visitatore sceso nel sottosuolo scopre un percorso popolato da decine e decine di sculture, realizzate con materiali riciclati, assemblaggi, collage, piccoli dipinti in plastilina, colonne di polistirolo, vecchi arredi smontati e riutilizzati, candelieri, specchiere, vasi in ceramica e sculture in gesso. Il risultato è un enorme accumulo che trasforma ogni singolo oggetto in parte di un’opera più articolata e che introduce allo spazio archeologico vero e proprio, dove, in dialogo con i resti della pavimentazione della Basilica Ulpia, sono esposte alcune sculture realizzate nel 2019 e presentate per la prima volta in Italia. Si tratta di una serie di grandi busti che, invece di mostrare i volti, presentano due nuche identiche che si riflettono l’una nell’altra. Questo intenso richiamo alla scultura classica romana sovverte il concetto tradizionale di ritratto, offrendo una visione potentemente psicologica che approfondisce ulteriormente i temi del positivo/negativo, interno/esterno, originale/copia, catturando l’essenza di una continua trasformazione, in un “nimbus limbus omnibus”.

Roma – Palazzo del Gallo di Roccagiovine – Foro Traiano, 1 – Fori imperiali – Info +39 351 626 2553  email: info@forof.it –  sito web: www.forof.it

 

 

Botero in mostra a Palazzo Bonaparte – Roma – fino al 19 gennaio 2025

Donatello Urbani – Testo e Foto

Mentre osservo l’opera “Ballerina alla sbarra”, la memoria ha fatto un salto nel tempo facendomi rivivere un precedente incontro con l’artista Fernando Botero, in occasione di un’esposizione di sue opere, in cui domandai perché i suoi personaggi, specialmente donne, fossero così abbondanti, tutti sovrappeso.

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“L’abbondanza è anche positività, ricchezza, vita e mette allegria, al contrario una persona magra, specie se donna, genera tristezza, degrado e non è piacevole allo sguardo”. La risposta poi proseguì con altre riflessioni facendomi notare come molti suoi personaggi esprimessero il desiderio di rendersi leggeri, librarsi in alto, staccarsi dalla terra e dai riflessi terreni. Tutto questo è uno dei temi dominanti presenti lungo tutto il percorso espositivo dove le 120 opere presenti raccontano in modo eccezionale, come da comunicato stampa: “la grande maestria di Botero nelle varie tecniche artistiche, dalla pittura alla scultura, ripercorrendo allo stesso tempo il suo intero percorso artistico, un universo esuberante e magico”. Tra le opere presenti alcuni inediti eccezionali, esposti per la prima volta al mondo, come “Omaggio a Mantegna”, che si riteneva perduto.

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Questa opera, prestito straordinario proveniente da una collezione privata degli Stati Uniti, dopo decenni di silenzio è stata recentemente riscoperta da Lina Botero tramite Christie’s. In proposito scrivono i curatori: “Affascinato da uno dei capolavori del Rinascimento, la “Camera degli sposi” di Mantegna nel Palazzo di Mantova, Botero decise di rendere omaggio al maestro italiano dopo il suo viaggio in Italia e scelse l’affresco della parete nord, la scena della corte dei Gonzaga in cui Ludovico è raffigurato seduto mentre riceve una lettera dal suo segretario, Marsilio Andreasi. Intorno a lui ci sono i suoi parenti: una scena che Botero trasformò in un’opera tutta sua, in cui esaltò la monumentalità e il colore eccezionale, vincendo con questo quadro il primo premio al Salone Nazi è esposta grazia adonale di Pittura della Colombia nel 1958”.

???                                                                                                                            La Fornarina

Non mancano le versioni di capolavori della storia dell’arte, come la “Fornarina” di Raffaello, il celebre dittico dei Montefeltro di Piero della Francesca, i ritratti borghesi di Rubens e “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Van Eyck fino ad arrivare alle ultime opere che Botero realizzò nel 2023 poco prima di lasciare l’esistenza terrena.

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Autoritratto

Botero, nato in Colombia nel 1932, inizia a dipingere da giovanissimo, quando lascia la scuola per matador per diventare un artista, ma si impone sulla scena artistica internazionale a partire dal 1961, quando il Museum of Modern Art di New York decide di acquistare il dipinto di “Monna Lisa all’età di dodici anni” (1959), momento in cui comincia un tour di successo in giro per il mondo e la sua fama cresce in modo esponenziale.
“La mia ambizione era di essere un pittore, e soltanto un pittore. Ho cominciato a dipingere a quattordici anni e da allora non c’è stato nulla che sia riuscito a farmi smettere. Vivo con una costante fame d’arte. Aspiro a esplorare i problemi fondamentali della pittura. Non ho mai trovato altro nella vita che mi causi altrettanto piacere.”

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Fernando Botero. La grande mostra è la prima grande esposizione a un anno dalla morte del maestro colombiano, ritenuto oggigiorno uno dei pittori più importanti del XX secolo e il cui principale risultato fu la creazione di uno stile unico e originale, con cui riuscì a esaltare i volumi come mai visto prima nella storia dell’arte.

Roma Palazzo Bonaparte – Piazza Venezia, n.5 (angolo Via del Corso) fino al 19 gennaio 2025 con orario dal lunedi al giovedi 9,00/19,30 – venerdi, sabato e domenica 9,00/21,00. Biglietto d’ingresso €.16,00 intero- ridotto €.15,00. Sono previste riduzioni e gratuità. L’accesso alla mostra è contingentato pertanto è consigliabile la prenotazione ed il preacquisto del biglietto. Per quanto sopra, prenotazioni e informazioni tel. +39.06.8715111- Sito web www.mostrepalazzobonaparte.itwww.arthemisia.it

Capena (RM) – Presente fino al 4 ottobre 2025 all’Art Forum Würth Capena la mostra “Pathos und Pastos. Christopher Lehmpfuhl nella Collezione Würth”

Mariagrazia Fiorentino – Foto Donatello Urbani

Non voglio soddisfare i nostri clienti, voglio ispirarli – Prof. Dr. h. C. mult Reinhold Würth

Pathos und Pastos (patos e impasto) riunisce oltre 40 opere, per lo più appartenenti alla Collezione Würth insieme ad alcuni dipinti di proprietà dello stesso artista, con l’intento di esplorare, come scrive il comunicato stampa, “alcune delle serie più significative del suo lavoro, come le scultoree rappresentazioni urbane e i luminosi paesaggi naturali dei viaggi compiuti in diverse parti del mondo (India, Islanda, Italia). Avvicinarsi all’opera di Lehmpfuhl significa intraprendere un viaggio nella storia della pittura. I suoi lavori hanno una doppia fonte di ispirazione: da un lato, l’Impressionismo, con il suo approccio immersivo ai paesaggi – Lehmpfuhl è un pittore en plein air – dei quali cerca di cogliere l’effimero della luce all’aperto, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche; dall’altro, l’Espressionismo, che permea le sue opere di personalità e stati d’animo, trasformando gli spazi della tela in manifestazioni dell’interiorità piuttosto che in luoghi oggettivabili. Ogni creazione di Lehmpfuhl contiene litri di una vernice pastosa, grumi di materia stesi manualmente in un’esecuzione organica e magistrale. Un gesto significativo che apporta un enorme lirismo alle sue tele che fanno appello alle emozioni fino a scuotere chi le guarda. Proprio da qui il riferimento, nel titolo della mostra, al Pathos con cui Aristotele designava uno dei tre pilastri della persuasione: in questo caso, il modo in cui l’opera d’arte influenza lo spettatore, lo commuove e lo interroga.”

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Christopher Lehmpfuhl ha origini berlinesi e vive questa sua condizione con l’orgoglio di essere parte di una comunità che, con particolare riferimento alle arti visive, è all’apice della cultura europea. Tutto questo trova effettivo riscontro nei soggetti delle tante opere che testimoniano questa rinascita culturale, e non solo, particolarmente sentita dopo la caduta del muro – 1989 -. Lontano dall’idillio da cartolina, l’artista, come riportato nel comunicato stampa: “registra i cambiamenti negli spazi pubblici durante le attività di costruzione: gru edili e rovine incombono nel suo lavoro. Per decenni, ha catturato su tela luoghi emblematici come il Castello di Berlino, creando opere che mostrano una situazione e al contempo trasmettendo una sensazione”.

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                                                                                 Chiostro gotico di Magdeburgo

Le opere presenti lungo tutto il percorso espositivo che si articola in uno affascinante spazio appositamente realizzato per ospitare rassegne di opere d’arte, sono una testimonianza eloquente di una ricchezza delle stesse ma anche della dolcezza che le circonda come nel ritratto amorevole dei genitori, saliti in cielo, ai quali nel momento di distacco dalla vita si avverte il bisogno di dover tracciare un bilancio della propria esistenza. Questo ciclo, Neue Heimat, di proprietà dell’artista, è carico di memoria e significati personali e si distingue dagli altri lavori in quanto realizzato in bianco e nero, dipinto in atelier con il pennello, e basato su fotografie dei genitori e del nonno, fornaio.

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La mostra è accompagnata dal catalogo in lingua tedesca con appendice in italiano, pagine 118 costo €.30,00 in mostra, edito da Swiridoff con la prefazione di C. Sylvia Weber, direttrice della Collezione Würth e saggi di Thomas Gädeke, Susanne Zargar Swiridoff e Kirsten Fiege e il contributo dell’artista.

Capena (RM) – Viale della Buona Fortuna, 2 CAP 00060 Ingresso gratuito Orario di apertura al pubblico: lunedì – venerdì: 10.00 – 17.00 sabato e domenica aperto per eventi e laboratori creativi festivi chiuso. Informazioni Tel. 06/90103800 | cell: 3317541611 | mail: art.forum@wuerth.it |www.artforumwuerth.it

 

Folk a Coltodino con il “Gruppo Folkloristico Città di Cures di Fara in Sabina (RI)” – E se non fosse solo folk?

Donatello Urbani – Testo e foto

Nel sito web del Gruppo Folkloristico Città di Cures di Coltodino, frazione del Comune di Fara in Sabina (Rieti) si legge che questi sia stato costituito nel “2003 per iniziativa di 7 famiglie del luogo, con l’obiettivo di riscoprire e divulgare usi, costumi e tradizioni popolari del proprio territorio”. Nel corso degli anni ai soci fondatori si sono aggiunte molte altre persone.

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Le attività intraprese nei successivi 20 anni sono state le più svariate da un approfondita ricerca sugli abiti con una particolare attenzione ai tessuti, alle danze caratteristiche degli anni passati, alle musiche ed alla ricostruzione degli strumenti musicali non più in uso per consentire una fedele interpretazione, con i quali venivano eseguite in passato, fino ad un’ampia documentazione visiva, foto e riprese cinematografiche. Tutto questo è stato al centro dei festeggiamenti del ventesimo anniversario del 7 e 8 settembre 2024.

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Un buon interesse, fra le diverse iniziative programmate, è stato richiamato dalla visita guidata da Chiara Apolloni al paese ed al quartiere Santa Maria dei Santi dove sono presenti delle grotte scavate nel tufo utilizzate fino a non molto tempo come depositi di derrate alimentari per il loro costante clima ed i resti di una chiesetta: S.Chiara, di cui resta in piedi solo parte della facciata che, dallo stile architettonico, si potrebbe far risalire al tardo medioevo.

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Tutto questo è folk? Così lo abbiamo chiamato da sempre. Sotto l’abito realizzato con i tessuti del corredo matrimoniale della bisnonna, la macine trainata dal mulo o il suono di un triccaballacche che segna il tempo di una danza popolare s’intravede la volontà di tante persone che vogliono lanciare un messaggio: noi resistiamo alla tentazione delle vita in città per vivere una vita sana e culturalmente interessante.

Colt.4La promozione culturale, saggiamente gestita, esclusivo compito delle istituzioni pubbliche, genera progresso e ricchezza su tutto il territorio e offre alla popolazione un’ importante scelta di vita: una urbana anonima immersa in una ripetitiva quotidianità, oppure una rurale, forse identificata con tanto di soprannome, con interessanti risvolti culturali e buoni rapporti sociali.

La Necropoli romana di Passo Corese – Il passato interpreta il presente

Donatello Urbani testo e foto

Il convegno organizzato lo scorso 6 settembre dalla Pro Loco di Fara in Sabina – Sala civica di Santa Chiara – che ha avuto per tema: “Le Tombe di Passo Corese – studio di una necropoli romana” è stato, principalmente, un atto dovuto alla popolazione che gravita e utilizza l’area della Stazione Ferroviaria di Passo Corese, non solo per aver sottratto alla pubblica fruibilità un’area strategica di grande utilità per gli utilizzatori, molti i pendolari, quanto per gettare una luce sugli abitanti  presenti in queste terre nel I – II sec. d.C. scoprirne le vicende umane e le cause che le hanno caratterizzate e, come riportato nel comunicato stampa: “conoscere da vicino alcuni ritrovamenti funerari” provenienti dalla suddetta necropoli temporaneamente esposti nel Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina, sito in piazza Duomo a Fara in Sabina.

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Da comunicato stampa: “Si tratta infatti di antichi resti di eccezionale importanza, che promettono di gettare nuova luce sulla storia di Fara in Sabina e i suoi dintorni. Questi reperti, frutto di recenti scavi condotti nei pressi della stazione della frazione di Passo Corese (durante un intervento di bonifica dagli ordigni bellici è stata infatti incredibilmente rinvenuta una necropoli romana, ovvero ben 42 sepolture datate dal I al III secolo d.C.) includono gli scheletri di una comunità vissuta qui oltre 1800 anni fa. Nello specifico, si tratta delle unità sepolcrali T36 e T38 che offrono preziose informazioni sulle pratiche funerarie e sulla società dell’epoca: viene considerato infatti uno dei ritrovamenti più prestigiosi degli ultimi anni.”

Il convegno, presentato da Alessandra Petra, direttrice del Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina, ha incentrato le sue attenzioni sull’intera campagna di scavo e relativi reperti rinvenuti. E’ oggi possibile conoscerli a fondo e apprezzarne l’importanza grazie agli interventi di studiosi che hanno prima scavato e successivamente studiato con approfondite ricerche scientifiche quanto rinvenuto. Tra questi: dott. Alessandro Betori, Soprintendente SABAP per le province di Frosinone e Latina; dott. Emanuele Brucchietti, archeologo; dott. Mauro Lo Castro, Soc. Coop. Il Betilo – Servizi per i Beni Culturali s.r.l; dott.ssa Rosaria Olevano, Soc. Coop. Il Betilo – Servizi per i Beni Culturali s.r.l; dott. Mauro Rubini, Direttore Servizio di Antropologia della SABAP per le province di Frosinone e Latina; dott. Angelo Gismondi, Laboratorio di Botanica, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”; dott.ssa Cristina Martínez Labarga, Centro di Antropologia molecolare per lo studio del DNA antico, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”; dott.ssa Flavia Maria Novi Bonaccorsi, Conservatore per i Beni Culturali; dott.ssa Tiziana Orsini, Istituto di Biochimica e Biologia cellule CNR di Monterotondo, Roma.

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L’intervento della suddetta dott.ssa Tiziana Orsini, Istituto di Biochimica e Biologia cellule CNR di Monterotondo, Roma presentando la ricomposizione ossea degli individui  inumati nelle unità sepolcrali T36 e T38, attualmente custodite al Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina – ha consentito di poter appurare quanto gli studi antropologici precedentemente condotti hanno fatto emergere: le condizioni complessive di salute erano buone, nonostante non appartenessero a classi particolarmente agiate. Gli unici indici di deterioramento sono dovuti a fattori di stress occupazionale/funzionale e a una scarsa igiene orale”.

Volendo, per pura curiosità, mettere a confronto le caratteristiche socio/antropologiche di1800 anni fa con quelle presenti attualmente nella popolazione sabina si può rilevare il buono stato di salute in generale della popolazione residente, anche in presenza della durezza del lavoro che richiede l’olivicoltura, dovuto alla salubrità del luogo per la carenza di fonti inquinanti e la buona qualità del cibo. Il buon soggiorno in Sabina è una caratteristica che non ha età.

Per informazioni e prenotazioni per visitare il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina,   contattare l’Ufficio Turistico Comunale in piazza Duomo, 2: Tel.0765/277321 (gio. ven. sab. domenica e festivi), 380/2838920 (WhatsApp), visitafarainsabina@gmail.com

Mostra a Tivoli – Villa d’Este – “Cari agli dèi: l’età giovane e la rivoluzione nelle arti”, fino al 3 novembre 2024

Giorgia Lattanzi

Il titolo, tratto da un antico verso del commediografo greco Menandro (342-291 a.C. ca.), evoca la questione della morte prematura, punto focale dell’esposizione: “Cari agli dèi” sono le parole che tentano di dare consolazione al dolore di un lutto prematuro, cercando di sanare la perdita con la consapevolezza che gli dèi, riconoscendo il valore e le grandi capacità dei giovani, li abbiano voluti richiamare a sé per averli vicini.

Le opere d’arte offrono  infinite forme di lettura e ognuna di esse apre  scenari culturari che ci permettono di tornare a riflettere su temi ancora irrisolti o degni di essere visitati ogni qual volta se ne senta la necessità

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La mostra ora in corso presso la Villa D’ Este ci riporta la concetto di “ giovinezza”,  un’età dell’uomo dove la carica espressiva è al culmine della sua potenza. Forse un po’ acerba e scevra da ogni forma di saggezza ma proprio per questo è pura, totale e di infinita bellezza.  Gli artisti in mostra sono uniti dal  loro triste ed eroico vissuto. Un filo invisibile lì tiene  uniti,  le loro opere sono sospese su di noi .

Umberto Boccioni, Antonio Sant’Elia, Scipione, Yves Klein, Piero Manzoni, Pino Pascali, Francesca Woodman e Andrea Pazienza, nella loro breve carriera sono stati capaci di realizzare contributi tanto significativi da cambiare profondamente il linguaggio dell’arte contemporanea.

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                                                                                         Pino Pascali – “Velocipedista” – 1963

Accanto alle loro opere, i capolavori di scrittori quali Stephen Crane, Percy Bysshe Shelley, John Keats, Anne Brontë, Henri Alban Fournier, Raymond Radiguet, Heinrich von Kleist, Antonia Pozzi che hanno modificato in maniera indelebile i codici linguistici e l’immaginario collettivo.

Nelle stanze di Villa d’Este, anche spezzoni di film e brani musicali di grandi nomi del passato che nella loro esistenza hanno lasciato capolavori indimenticabili, rivoluzionando la storia del cinema e della musica.

“La rassegna illustra il terzo capitolo di una trilogia che prende spunto dal pensiero di Friedrich Nietzsche, quale risposta culturale alla tragedia umana legata al Covid – racconta Andrea Bruciati -; partire da un’analisi dell’uomo e delle sue fragilità (Ecce Homo, 2021) per una diversa consapevolezza (Umano troppo umano, 2022) al fine di superare i nostri limiti ed evidenziare l’importanza ricostruttiva attraverso le nuove generazioni (Cari agli dei, 2024), è l’obbiettivo che questo itinerario si era preposto. Le nostre radici culturali partono dai semidei dell’arte classica per aggiornarsi alle valenze maledette della poesia simbolista per trovare ampia testimonianza, soprattutto musicale, lungo il secolo appena trascorso. Nello specifico il progetto al centro della disamina è una ricognizione che si focalizza su autori che hanno rivoluzionato le arti visive in Italia nel XX secolo, perché ritengo che l’Istituto, esso stesso risultato di protagonisti pionieristici ai loro tempi, debba ritornare ad essere quella fucina di idee e di soluzioni aperte alla contemporaneità, seminali al prossimo futuro.”

I luoghi cari alle arti sono degli scrigni sicuri,  generatori  e custodi di riflessioni e  significati  che prendono forma e continuano a  donare ai visitatori nuove opportunità per leggere il nostro tempo.