Il Palatino ed il suo giardino segreto – Nel fascino degli Horti Farnesiani

Testo e foto di Donatello Urbani

Questa mostra, allestita all’interno del sito archeologico del Colosseo/Palatino racconta uno dei luoghi più celebri e simbolici della Roma rinascimentale e barocca: gli Horti voluti dai Farnese, visitabile fino al 28 ottobre 2018, è stata inserita in un percorso lento appositamente predisposto per quanti desiderano approfondire la storia e godere delle bellezze del luogo. Il giardino, allestito a partire dalla metà del Cinquecento dal Cardinale Alessandro Farnese, era strumento per affermare la raggiunta e consolidata posizione politica e istituzionale della nobile famiglia. Non a caso, inglobando i palazzi imperiali, sorse là dove Roma fu fondata e dove ebbe sede il potere da Augusto in poi. L’itinerario della rassegna, all’interno della vasta area archeologica, si snoda nel luogo dove un tempo sorgevano gli antichi giardini. Dalla via Nova, al limite del Foro Romano, fino alle Uccelliere sul colle Palatino, una pannellistica illustrata accompagna il visitatore nel racconto delle trasformazioni degli Horti.

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Ingresso agli Horti Farnesiani                                                               Ingresso al ninfeo della pioggia ed alle uccelliere al piano superiore

Il percorso di visita è concepito come una narrazione che prende avvio con le geometrie del verde volute dai Farnese, ripercorre la stagione del Grand Tour, quando i giardini nel pieno della decadenza acquisirono quel volto romantico che tanto affascinò poeti e artisti, primo fra tutti Goethe, e termina agli inizi del Novecento, quando iniziarono le indagini archeologiche. Allori, cipressi, tassi, alberi di agrumi, rampicanti e rose damascene vengono ripiantati in questa occasione suggerendo il fascino dell’antico giardino. Tornano per la prima volta sul sito originario due prestiti di eccezionale valore – collocati nelle Uccelliere – provenienti dalla collezione Farnese del Museo Archeologico Nazionale di Napoli: la scultura del Barbaro inginocchiato, in marmo nero antico e pavonazzetto, all’epoca utilizzato come portavaso, e di Iside fortuna, in marmo bigio morato, che decorava una delle nicchie della scala ai lati del Teatro del Fontanone.Proprio quest’ultima fontana ha finalmente ritrovato l’aspetto originario, una volta liberata dalla pesante incrostazione calcarea di gusto naturalistico, esito di un intervento tardo-ottocentesco e su cui crescevano calle e capelveneri.  Sono tornati, così,visibili sia il gioco d’acqua che la composizione di vasche sovrapposte che consentono all’acqua di tornare a scorrere in successive cascatelle e terminare il percorso nella grande vasca polilobata.

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Statue di Daci in marmo poste nelle uccelliere          Statua in marmo nero e pavonazzetto raffigurante un barbaro inginocchiato

Nelle Uccelliere vengono esposti anche i due giganteschi busti di Daci prigionieri che, nel Seicento, decoravano il criptoportico d’accesso al Ninfeo della Pioggia. “Al di là del consueto circuito turistico che porta i visitatori dal Colosseo al Foro Romano, a volte senza il tempo necessario per assaporare la magia dei luoghi, nasce così un percorso alternativo, dal passo lento, in un giardino inaspettato, contemporaneamente reale e immaginario, fino al belvedere già amato dai Farnese e che ancora oggi permette di riempirsi gli occhi della Bellezza più autentica di Roma”, spiega Alfonsina Russo, direttore del Parco archeologico del Colosseo. Entra a far parte integrante del percorso anche un nuovo progetto di valorizzazione con tecnologie digitali immersive – in una continuità con la precisa scelta allo stesso tempo scientifica e divulgativa che ha già riportato grandi consensi a Santa Maria Antiqua e nella Domus Aurea. In questa occasione, nel Ninfeo della Pioggia – uno degli spazi di piacere e ricreazione progettato dai Farnese – è stato concepito un coinvolgente viaggio nel tempo attraverso l’impiego di sofisticati apparati multimediali. Un video mapping ripropone quella che, in base allo studio delle fonti, doveva essere la fisionomia del complesso degli Horti Farnesiani. Suggestioni prospettiche e visioni a volo d’uccello restituiscono filari d’alberi, pergolati e antichi giochi d’acqua.

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Ingresso alle uccelliere. Ricostruzione dell’originale terrazza                                         Il ninfeo della pioggia

Roma, Palatino fino al 28 ottobre 2018 con orario 8.30/17.30  dal 16 al 24 marzo- 8.30/19.15 dal 25 marzo al 31 agosto – 8.30/19.00 dal 1 al 30 settembre – 8.30/18.30 dal 1 al 28 ottobre. Chiuso 1 maggio. Biglietto Intero € 12,00; ridotto € 7,50 (riduzioni e gratuità secondo la normativa vigente) Il biglietto, valido 2 giorni, consente un solo ingresso al Colosseo e un solo ingresso al Foro Romano-Palatino. Informazioni www.electa.it #HortiFarnesiani – Visite guidate biglietti on-line www.coopculture.it – tel. +39.06.39967700

Arte Calligrafica, Danza del Pennello, Eco dell’inchiostro che risuona.

Testo e foto di Donatello Urbani

Un proverbio fra i più diffusi in Corea dice : “Chi ha bella calligrafia ha buon cuore”.  E’ il Direttore dell’Istituto Coreano di Cultura a Roma, Lee Soomyoung, a riferirlo nel corso dell’inaugurazione di una interessante mostra sull’arte calligrafica nazionale con l’esposizione di varie opere del maestro Kim Byeong-gi, vero luminare quanto famoso nella Corea del Sud. Questo spiega l’importanza che riveste il saper scrivere bene e come l’insegnamento delle bella scrittura sia molto seguito fra la popolazione coreana, indipendentemente dallo stato sociale rivestito.

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Il maestroKim Byeong-gi offre una dimostrazione della sua arte e mentre spiega l’alfabeto  Hangeul con le 3 vocali e le 5 consonanti

“La calligrafia si è sviluppata in Asia orientale, per circa tremila anni,  e trova le sue radici nei caratteri ideografici utilizzati in Corea, Cina e Giappone. La scrittura di ogni paese presenta i propri tratti distintivi e un arte calligrafica particolare”, sono le parole del direttore dell’Istituto di Cultura Coreano, Lee Soomyoung, che afferma inoltre: “ Il 2018 segna il 600° anniversario dell’alfabeto Hangeul, introdotto ad opera del Re Sejong, Per commemorare tale evento, sono state presentate in questa mostra opere di arte calligrafica in Hngeul del maestro Kim Byeong-gi, oltre a lavori in caratteri Hania di numerosi artisti Italiani. L’alfabeto Hangeul, originario della Corea, incontrando l’arte calligrafica, detiene una delicata estetica, in cui ogni segno si adatta agli altri, in armonia ed equilibrio.” E’ lo stesso maestro Kim Byeong-gi a presentarci i valori insiti in questo modo di scrivere: “Mi sto impegnando nella scrittura cercando d’infondervi naturalmente questo mio spirito, ma ho ancora molta strada da fare. L’Hangeul non è solo la scrittura più scientifica al mondo (proprietà riconosciuta dall’UNESCO-n.d.a.), ma anche la più bella”. A seguire sono stati presentati i caratteri salienti di questo alfabeto coreano. Così abbiamo appreso che è composto da 3 vocali che unite fra loro creano 10 caratteri, mentre aggiungendo uno o due tratti alle 5 consonanti si ottengono 14 caratteri. Nel complesso le lettere che compongono questo alfabeto sono 24.

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                                       Il maestro Silvio Ferragina con alle spalle una sua opere realizzata in alfabeto cinese

Il gruppo di calligrafi italiani che ha partecipato alla Biennale Mondiale di calligrafia del Jeonbuk non è uno sparuto manipolo e a 7 di loro  è stato affidato l’incarico di rappresentare tutti  degnamente in questa rassegna. La loro presenza conferma un avvicinamento ad un’arte fino ad oggi distante dalla nostra cultura  che  si estrinseca anche con mostre e rassegne organizzate anche al di fuori delle istituzioni culturali di altre nazioni come nel caso di quella che aprirà i battenti a Milano dal 21 marzo al 28 aprile 2018 nella Biblioteca Nazionale Braidense – sala Maria Teresa – dove le opere calligrafiche del maestro cinese Luo Oi e del nostro Silvio Ferragina dialogheranno con i fondi cinesi della Braidense. Nel periodo di apertura della mostra sono state organizzate conferenze, spettacoli e concerti  tutti con ingresso gratuito previa prenotazione telefonica allo 331.6872532 o e.mail: info@tadaam.it.

Tessere la Speranza: Le vesti celesti in Aracoeli.

Testo e Foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Il culto alla Vergine Maria, uno dei più sentiti dalla popolazione romana, ha trovato il suo epilogo nell’abbellirne le statue sia con vesti che con preziosi gioielli, che spesso ha rappresentato, in entrambe le espressioni, delle vere e proprie opere d’arte. In questo spirito è stata allestita nell’ala destra della Basilica di S.Maria in Aracoeli, luogo simbolo del valore religioso ma anche storico-culturale della città di Roma, la sesta edizione della mostra “Tessere la speranza” con il preciso intento di far conoscere, all’interno del culto religioso, l’intensità delle creazioni artistico-artigianali legate alle “madonne vestite” presenti sugli altari di molte chiese, in particolare del centro e del meridione d’Italia.

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Il Bambinello dell’Aracoeli                                                                                         Abito della Madonna del carmela con gli scapolari

 

Questa nuova esposizione presenta, infatti, seguendo il percorso di approfondimento sul tema delle “madonne vestite”, gli esemplari di simulacri con le loro vesti preziose della Vergine del Rosario, dell’Addolorata, provenienti da tutto il Lazio e porta all’attenzione del pubblico per la prima volta gli abiti del Bambinello della Basilica dell’Aracoeli e quelli della Madonna del Carmine in Trastevere. In proposito afferma la dott.ssa Alfonsina Russo, attuale Direttore del Parco Archeologico del Colosseo e già Direttrice della Sovrintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio dell’area metropolitana di Roma, Etruria Meridionale e Provincia di Viterbo,: “Il Bambinello dell’Ara Coeli è uno straordinario documento della devozione del popolo romano caratterizzato dalla miriade di ex voto che ricoprono la veste di broccato. La statuina, portata dal clero nelle case romane che ne richiedevano ”l’assistenza”, “soccorreva” gli ammalati ed era omaggiata anche dai piccoli fedeli romani con la recita periodica di poesie. La Madonna del Carmine di Trastevere, detta la “Fiumarola”, testimonia la “vestizione reciproca” con il popolo, mostra e porge ai fedeli lo ‘scapolare’, un pezzetto di stoffa che si appende al collo e che rappresenta, oltre a un oggetto devozionale, una simbolica forma di ‘rivestimento’ che, richiamando la veste dei carmelitani, contraddistingue chi si affida alla Vergine”.

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Abito della Madonna dell’Addolarata di Boville (FR)                                                            Un abito della Madonna del Carmelo

 

Di rimando l’intervento dell’attuale Sovrintendente per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, dott.ssa Margherita Eichberg, pone in risalto come:”Tessere la speranza” nasca insieme al progetto di restauro ed espositivo a partire dal recupero, effettuato dalla Soprintendenza, della Madonna del Rosario degli inizi del XVIII secolo conservata nella Chiesa di S. Andrea Apostolo a Vallerano (VT), danneggiata dal sisma del 30 ottobre 2016.  Dopo la prima edizione romana a Palazzo Patrizi Clementi, sede della Soprintendenza, incentrata sui tre percorsi della fede di S. Paolo, S. Benedetto e S.Francesco. La seconda edizione si è svolta nella splendida cornice del settecentesco Palazzo Lercari di Albano Laziale, sede del Museo Diocesano, con una attenzione particolare ai tessuti sacri provenienti dal territorio della diocesi. Con il coinvolgimento della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti, la mostra è poi giunta a Sora (FR), nel Museo della Media Valle del Liri, presentando le preziose vesti delle Madonne Addolorate e in particolare l’enorme manto di Santa Marìa de la Esperanza Macarena proveniente da Siviglia. L’esposizione nel Museo Diocesano di Gaeta è stata incentrata sulla Madonna del Rosario e ha approfondito il restauro di alcune “Madonne vestite” locali, con i loro oggetti di corredo: in particolare il manichino e le vesti della Madonna della cintura (o della cintola) di Gaeta e l’abito antico della Madonna del Rosario di Casalattico. Ad Arpino (FR), un’ulteriore edizione è stata dedicata alla Madonna di Loreto, culto particolarmente sentito nella Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, dove si diffuse sin dal XV secolo”. Quanto noi possiamo ammirare nell’ala destra della Basilica dell’Ara Coeli, è la preziosa testimonianza di tante  cure amorevoli siano stati oggetto questi simulacri della Vergine impreziositi di monili ricercatissimi e ricche vesti, cucite dalle stesse donatrici. Tutto questo, inoltre, ci  racconta storie di un ricco patrimonio antropologico, oltre che artistico e storico. La nuova tappa di “Tessere la Speranza” nella Basilica dell’Aracoeli a Roma arricchisce, assieme all’aspetto cultuale delle vesti stesse, l’indagine sulle manifatture, l’artigianato e la ricchezza compositiva che sono parte della storia della città di Roma e del territorio regionale.

Catalogo con preziosi saggi di esperti e studiosi della materia, ricco di tavole a colori è edito di Gangemi Editore. Pagine 63, costo €.22,00

Roma- Basilica di Santa Maria in Aracoeli – Scalinata dell’Arce Capitolina – visitabile fino al 4 maggio 2018 con ingresso gratuito nell’orario di apertura della Basilica dalle 8,30 alle 18,30. Info tel.06.69763837 – 06.69763839 – sito web Sovrintendenza www.sabap-rm-met.beniculturali.it  oppure tel. 06.67233002-3-

Oltre l’apparenza – Opere di Andrea Pinchi e Paolo Vannuccini in mostra nella Galleria d’Arte Eitch Borromini.

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

La sede espositiva della Galleria d’arte Eitch Borromini, tanto raffinata quanto esclusiva, parte integrante del Palazzo Pontificio di Innocenzo X^ Pamphjli,  prospicente Piazza Navona,  accoglie fino al 14 maggio prossimo, la rassegna di opere d’arte di due artisti contemporanei: Andrea Pinchi e Paolo Vannuccini. Un comune denominatore lega i due artisti anche se  non possiamo assolutamente affermare che le opere dei due siano fra loro compatibili se non per quel sottile legame che unisce tutte le opere d’arte: la ricerca della bellezza. Infatti è questa l’obbiettivo che entrambi perseguono sia pure percorrendo due diverse strade.

IMG_20180314_184803Andrea Pinchi: “Chi insegue due lepri non ne prende una”- 2018. Acrilico su tela. Pelle del 1881, carta da dattilografia Fabriano anni ’60, carta carbone Kores  del 1960 ca, cordini del 1659, cuoi del 1881 e carta vetro del 1930 ca.

Andrea Pinchi utilizza per le sue opere materiali diversi, spesso usati, quali antichi strumenti musicali oppure pellami di recupero, con il chiaro intento di volersi rapportare con il vivere quotidiano  e riportare sulla tela le più profonde emozioni che questo rapporto suscita nel suo animo e trasmetterlo attraverso le sue opere ai restanti esseri umani.

IMG_20180314_184919                                                     Paolo Vannuccini: “Senza titolo – Serie Oltre” – 2016. Tecnica mista.

Paolo Vannuccini, di rimando, si muove nella classicità assoluta con tanto di colori e pennelli. A questi infatti è affidato il linguaggio artistico. I suoi personaggi, appena sfumati e ridotti all’essenziale, si muovono nelle sue tele fra un turbinio di colori, spesso forti, talvolta pesanti e scuri identici alle difficoltà che si devono affrontare nella vita di tutti i giorni e tentare di superarle o comunque di uscire da quelle difficili situazioni.  Una profonda vena umana caratterizza tutte le sue opere che trova il suo epilogo nel messaggio finale che ha nella bellezza la sua meta ultima.

Roma – Via Santa Maria dell’Anima, 30 – Galleria d’Arte Eitch Borromini fino al 14 maggio 2018 con ingresso gratuito e orari 11,00/20,00 dal lunedi alla domenica. Consigliata la prenotazione. Informazioni tel. 06.6861425 – e.mail: galleriaborromini@gmail.com

Haec est civitas mea – Opere di giovani artisti dell’Accademia I.S.Glazunov di Mosca.

Testo e foto di Donatello Urbani

Fra le diverse iniziative culturali previste nell’ambizioso progetto delle Stagioni Russe in Italia rientra a pieno titolo anche questa mostra allestita nella sala Zanardelli del Vittoriano che già nel titolo in lingua latina preannunzia il contenuto d’arte classica che sarà il tema dominante presente in tutte le opere esposte.

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Mukovnin E.V. “Ai confini del Mondo                                                                                          Len’kova Ju-V. “”L’ascesa di Sikirnaja gorà”

L’odierna Accademia Russa di pittura “I.S.Glazunov” , come affermato in conferenza stampa dall’attuale rettore ad interim Ivan Glazunov, si propone di recuperare l’esperienza maturata nei secoli scorsi dall’Accademia Imperiale Russa di Belle Arti ed esaltare tutte le tradizioni artistiche e culturali che le vicende post rivoluzione dell’ottobre 1917 avevano cancellato. Non aspettatevi quindi di trovare esposte opere che abbiano, anche in forma velata, riferimenti alle avanguardie e post avanguardie russe ed alle correnti artistiche oppure riferimenti al periodo sovietico.

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Safonov M.O. “La città di Stàrica sul Volga N.1″                                                                        Velicko O.A. “Ritratto di Gennàdi Rozdestvenskij

Il messaggio artistico che questi giovani neo diplomati ci presentano con le loro opere ha un legame diretto con il mondo artistico classico della pittura tradizionale presente in Russia fino ai primi anni del Novecento. Le circa cinquanta opere esposte vogliono richiamare  l’attenzione dei visitatori su alcuni significativi episodi che hanno segnato la storia nazionale oltre  presentare le bellezze della natura della Russia insieme ad  alcuni ritratti di personalità contemporanee.

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Cvetaeva O.M. “Storia di Pietro e Fevrònija”                                                                                 Ermakova A.G. “La guarigione del paralitico”

Questo non toglie niente alle alte qualità artistiche presenti in tutte le opere anche quando si è trattato di copiare o ispirarsi ai grandi capolavori di artisti del passato, in tutti è presente qualcosa di personale,  per non parlare di quelle che sono state realizzate da questi giovani attingendo unicamente alla loro inventiva e creatività artistica. Sarà, invece, oltremodo interessante seguire il percorso artistico che attende questi giovani nei prossimi anni quanto le nozioni apprese nell’Accademia, giusti gli insegnamenti che partono dalla classicità, saranno i punti di partenza per nuove e personali acquisizioni stilistiche.

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Cudanov S.E. “La grande marcia tra i ghiacci della Siberia”                                                              Blinkov S.V. “Lo zarevic’ Dmitrij”

“I nostri giovani allievi”, dichiarano alcuni docenti dell’Accademia I. S. Glazunov nel corso di una previsita alla mostra, “hanno piena libertà di esprimersi e ricercare liberamente forme, stili e metodi di realizzazione  delle loro opere anche quando si allontanano dagli insegnamenti impartiti”.  In proposito come indica inequivocabilmente il titolo della rassegna: la nostra civiltà, incluse le arti figurative che ne costituiscono uno dei fondamenti, non può non basarsi che sui valori classici, senza trascurare, però, anche i meno classici, e su questi costruire quelli futuri.

Roma – Mostra “Haec est civitas mea” – Sala Zanardelli del Vittoriano – Piazza dell’Ara Coeli fino al 2 maggio 2018 con ingresso gratuito tutti i giorni dalle ore 9,30 alle 19,30. Info tel.06.6783587 .-

Tesori e Imperatori – Lo splendore della Serbia romana- Aquileia – Udine – Palazzo Meizlik dall’11 marzo al 3 giugno 2018

Mariagrazia Fiorentino

Questa mostra, offre la possibilità di far conoscere, il grande patrimonio artistico che possiede questa terra di confine, prendendo in esame il periodo che va dal I^ al VI^ secolo e consolida i legami culturali di Italia e Serbia. Sessantadue reperti provenienti dai maggiori musei serbi testimoniano il valore di questa mostra. Il prof. Claudio Strinati (uno dei maggiori uomini di cultura e critico d’arte), nel suo intervento commenta: “Già dal titolo mette in evidenza l’importanza di questa mostra, 17 imperatori e soprattutto Costantino”.

Alle estreme propaggini orientali della Serbia di oggi il Danubio s’incunea nello splendido scenario delle Porte di Ferro: duemila anni fa il fiume segnava il confine di un impero, quello romano che nel periodo della sua massima espansione arrivava alla Tracia (Bulgaria sud-orientale, Grecia nord-orientale, Turchia europea) e alla Dacia. L’Illirico fu terra di eventi cruciali - la campagna di Traiano, l’ascesa al potere di Diocleziano e di Costantino – terra di fortificazioni, di legionari e imperatori, di grandi residenze imperiali, prosperi quartieri urbani, commerci fiorenti, luogo di convivenza di culture e segni dei diversi influssi religiosi.

Protagonisti del percorso di visita tre elmi da parata che ci restituiscono tutto il solenne cerimoniale dell’esercito romano: in particolare l’elmo ritrovato a Berkasovo, dorato e tempestato di elementi in pasta vitrea multicolore a imitazione delle pietre dure, è un vero e proprio capolavoro di artigianato artistico. La stessa magnificenza si ritrova  nelle eccezionali maschere da parata in bronzo rinvenute lungo la sempre minacciata frontiera del limes romano.

12_The Helmet Berkasovo 2 L elmo di Berkasovo 2                                                                                                     Elmo di Berkasovo

E  proprio lungo la frontiera, a Tekija, è stato rinvenuto il tesoro in argento che possiamo ammirare: i preziosi oggetti dovevano essere stati nascosti, come in casi analoghi,  per l’incombere di un pericolo, in questo caso subito dopo l’81 e sono una testimonianza importante della penetrazione dei Daci nel territorio della Mesia.

Il regno della Dacia rappresentava un pericolo per le province romane lungo il medio e basso corso del Danubio – scolpito magistralmente sul calco della colonna traiana  in mostra per l’occasione ad Aquileia – e Traiano vi condusse due importanti campagne belliche contro il re Decebalo facendo costruire anche l’imponente ponte sul fiume.

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Significativa la testa di Venere recuperata nel 2003 durante gli scavi in un cortile a peristilio con una fontana in marmo, che ci riporta alla regalità del palazzo-circo di Sirmium divenuto una delle residenze di Costantino il Grande. La statua di Venere era stata portata lì da Costantino o dai suoi successori per propaganda politica, per riproporre i valori della Roma Aeterna  e allo stesso scopo varie rappresentazioni di Costantino cominciarono ad apparire sulle monete e sugli oggetti d’arte. La sua immagine è raffigurata con un diadema, con il capo leggermente inclinato all’indietro, e lo sguardo verso il cielo.

Una delle immagini più importanti di questo tipo che troviamo in mostra è rappresentata sul cosiddetto cammeo di Belgrado in sardonica a più strati, con l’imperatore a cavallo trionfante sopra il nemico sconfitto. Ma il pezzo di arte e di propaganda politica più rappresentativo del tempo di Costantino è la famosa testa in bronzo con diadema dello stesso imperatore parte di una statua dorata rinvenuta nella città natale Naissus, l’odierna Niš, esempio di magnificenza imperiale.

24_Head of Galerius Testa di Galerio                                                                                                       Testa di Galerio

Notevole la testa in porfido rosso dell’imperatore Galerio proveniente da  Gamzigrad, dove il ritrovamento di un archivolto, con l’iscrizione FELIX ROMVLIANA ci indica chiaramente il luogo ove sorgeva il  palazzo eretto da Galerio. Il porfido rosso, la pietra più dura di tutte, ha molti simbolismi: manifesta potere e forza, e il suo colore purpureo richiama alla mente la sublimità e la dignità. Le sculture avevano lo scopo di celebrare e glorificare il potere imperiale e sulla base delle rilevanti dimensioni, si presume che la mano di porfido del braccio sinistro con globo sia appartenuta, così come la testa, ad una figura colossale che poteva rappresentare Galerio come dominatore del mondo.

Un’ultima sezione è dedicata a dei e divinità – una splendida testa appartenente ad una statua marmorea di Ercole più grande del naturale, rinvenuta nel palazzo di Galerio a Gamzigrad, due statue che raffigurano il dio con in braccio il piccolo Telefo, il mitico fondatore di Pergamo. Di grande interesse anche i culti legati alla sfera militare, tra cui quello di Mitra e, in maniera meno sicura, quello di un eroe a cavallo, al quale fanno riferimento le rappresentazioni dei cosiddetti “cavalieri traci” o “danubiani.

Il catalogo della mostra,bilingue, curato da Ivana Popović e Monika Verzár e contenente le schede e le fotografie di tutte le opere, è edito da Gangemi Editore, pagine 159 con illustrazioni. Costo €.26,00

Per saperne di più contattare il sito www.fondazioneaquileia.it.

Hiroshige – Visioni dal Giappone.

Testo e foto di Donatello Urbani

Il Mondo dell’Universo fluttuante:  ukiyoe. Non più di cinque anni fa la sua esistenza, ed ancor più il suo significato, erano conosciuti da ben pochi italiani, comunque in ambito circoscritto agli studiosi delle civiltà dell’estremo oriente.  Le lungimiranti politiche culturali perseguite dagli amministratori pubblici locali della città di Milano, seguiti a breve distanza di tempo da quelli romani, purtroppo incapaci di progettare una loro autonoma vita culturale, hanno colmato questa lacuna allestendo mostre sui maggiori artisti giapponesi che meglio di tutti hanno illustrato il principale filone artistico elaborato nel periodo Edo, quello di maggior splendore dell’arte visiva giapponese, identificato dagli studiosi come identico al nostro rinascimento.

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Gara di pittura- Veduta di Sagamo                                                                       Luna riflessa sulla superficie delle risaie a Sarashima

Grazie alle immagini che ci hanno lasciato artisti quali Hokusai, Hiroshige,, Utamaro e Kuniyoshi, in mostra tutti prima a Milano e successivamente a Roma solo con i primi due, siamo venuti a stretto contatto con il fantastico mondo fluttuante che ci presenta quella realtà che nella visione buddista è destinata a sparire. Gli anni trenta dell’Ottocento segnarono l’apice della produzione ukiyoe. In quel periodo furo­no realizzate le silografiche più importanti a firma dei maestri dell’arte del Mondo Fluttuante, fama che, in Occidente, venne con­fermata e riconosciuta, qualche decennio più tardi con l’apertura del Paese al mondo esterno, come identificativa dell’arte visiva giapponese.

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10. Hiroshige

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritratto commemorativo-Silografia policroma                                            Peonia – Foto courtesy ufficio Stampa Mondadori Mostre

Dice la curatrice Rossella Menegazzo: “Kuniyoshi aveva pubblicato nel 1829 con l’editore Kagaya la serie I 108 eroi del Suikoden che lo rese famoso, Hokusai produsse con Nishimuraya, tra il 1830 e il 1832, le Trentasei vedute del monte Fuji (Fugaku sanj¯ urokkei) che, per il grande successo che riscossero, si ampliarono a quarantasei fogli, mentre Hiroshige fece se­guire, in risposta a questa, la sua serie intitolata Cinquan­tatré stazioni di posta del T¯ okaid¯ o(T¯ okaid¯ ogoj¯ usantsugi no uchi), tra il 1833 e il 1834”.  Scrivono i curatori nel bel catalogo edito da Skira; “Si trattava di un filone artistico che esprimeva i gusti e le mode del momento, sviluppatisi soprattutto in segui­to al veloce inurbamento dell’area del Kant ¯o, quando Edo (l’attuale Tokyo) fu scelta come capitale amministrativa e politica del bakufu Tokugawa, trasformando quello che era un piccolo villaggio di pescatori prima in una fioren­te città, e poi, nel giro di un secolo, nella metropoli più popolosa al mondo, che detenne il controllo del Paese per oltre due secoli e mezzo (1603-1868).

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    Kyoto:Il grande ponte                                                                                                       Illustrazione del giardino dei susini a Kameido

Non a caso il periodo viene anche definito come Pax Tokugawa, rife­rendosi alla lunga pacificazione di cui i Tokugawa si resero fautori dopo secoli di ininterrotte battaglie tra clan guer­rieri rivali per la supremazia sul Paese. Erano oltre due­centosessanta i feudi in cui il territorio era diviso, ognuno controllato da un daimy ¯o che lì possedeva il suo castel­lo, pur rispondendo al potere centrale dello shogunato. La conseguenza fu lo sviluppo di centri di cultura locali che il governo centrale, una volta instauratosi, cercava di mantenere sotto controllo con il sistema delle residenze alternate (sankin k ¯otai), che obbligava ogni signore a re­carsi e risiedere nella Capitale di Edo ad anni alterni”.

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Kyoto: Il ponte Nihobashi                                                                                                    Luna riflessa sulla superficie delle risaie a Sarashina

In questo ambiente si svolse l’attivita di Hiroshige, che formatosi presso la scuola Uta­gawa sotto Toyohiro, s’impose sul merca­to, tra gli anni trenta e cinquanta dell’Ottocento, pubbli­cando diverse decine di centinaia di fogli sciolti che illustravano soggetti di natura come fiori, pesci e uccelli, oltre che paesaggi e vedute celebri (meisho) del Giappone nelle quattro stagioni e nelle varie condizioni atmosferiche con la tecnica della silografia policroma (ni­shikie). I soggetti s’ispiravano spesso a luoghi che l’artista trovava nelle guide di viaggio, andando dalle classiche vedute della capitale amministra­tiva di Edo a quelle della capitale imperiale di Kyoto, dalle stazioni di posta del T¯ okaid¯ oa quelle del Kisokaid¯ o, dalle famose otto vedute di O¯mi e di Kanazawa a quelle del monte Fuji e degli scorci più belli delle province lontane. In tutte le  opere di Hiroshige, come risulta ampiamente documentato nelle oltre 230 opere esposte provenienti da collezioni italiane e internazionali, si riscontra sempre, e di questo dobbiamo renderglene merito, un punto di vista alternativo che esaltasse le bellezze della località. Iniziò con il formato orizzontale che portò alla massima espansione nel trittico, in contemporanea sperimentò la forma rotonda del ventaglio rigido (uchiwa)  ma, a partire dall’inizio degli anni cinquanta, iniziò a preferire il forma­to verticale, sulla scia dell’esperienza derivatagli da una importante committenza di dipinti su rotolo arrivata dal feudo di Tend ¯o.

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Il mare di Satta nella provincia di Suruya  – Entrambe le foto: courtesy Mondadori Mostre-   Kameido: Area antistante il santuario Tenjin

Il formato verticale era più efficace nella resa prospettica e più d’impatto come taglio e quindi adatto alle costruzioni innovative.  La novità stilistica che più s’identifica con Hiroshige è presente nel suo capolavoro finale, dedicato alle cento località celebri di Edo, che gli procurerà fama anche internazionale, grazie alla sempre maggior presenza di turisti in Giappone, e proseguì anche dopo la sua morte. La dedizione e la serietà con cui lavorò incessantemente al tema del paesaggio fecero di lui una fonte d’’ispirazione primaria per gli artisti europei. Esempi di questo si possono trovare nelle opere di Van Gogh, Edgar Degas o Toulose Lautrec, che, come scrive la curatrice, “seppe trasformare il tutto in pura grafica, non più copiando il lavoro di Hiroshige ma interpretando le linee di forza e la costruzione delle profondità per piani piatti sovrapposti nella creazione d’immagini con soggetti completamente diversi”.  Affiancheranno questa interessante rassegna una serie di attività culturali, laboratori, incontri  sulle principali manifestazioni popolari e gastronomiche giapponesi per giungere al fumetto: manga, e all’ikebana: l’affascinante arte delle composizioni floreali, organizzate con la collaborazione dell’Istituto Giapponese di Cultura in Italia.

Roma – Scuderie del Quirinale – Via XXIV Maggio, 16 – fino al 29 luglio 2018 con orari dalla domenica al giovedi dalle 10,00 alle 20,00; venerdi e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Costi del biglietto d’ingresso intero €.15,00, ridotto €.12,00., giovani dai 7 ai 17 anni €.2,00 – incluusa per tutti l’audioguida. Previste gratuità stabilite per legge. Informazioni  www.scuderiedlequirinale.itinfo@scuderiedelquirinale.it - telefono 06.81100256. Prenotazione gruppi per e.mail: gruppi@vivaticket.it

CARLO LORENZETTI “Spazi siderali” in mostra con le sue ultime realizzazioni nel piano nobile di Palazzo Caetani Lovatelli, sede romana di Bertolami Fine Arts.

Testo e Foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Nelle sale di questa prestigiosa residenza sono in esposizione 13 sculture e una raccolta di  14 disegni  realizzati nel  2007 da Carlo Lorenzetti, oggi considerato un artista classico della modernità e che Giovanni Carandente, come affermato in conferenza stampa , nei primi anni sessanta agli inizi della carriera, quasi uno sconosciuto,   “volle affiancare a mostri sacri del calibro di Arp, Calder, Moore e Smith nella storica rassegna spoletina del 1962 “Sculture nella città”.  Il curatore della mostra, Francesco Bonanno, completa la presentazione affermando che pur non avendo “mai sentito il bisogno di procedere in formazione all’interno di gruppi o movimenti, ha percorso in totale autonomia un originale cammino all’interno della linea di ricerca interessata a rinnovare la scultura nel segno di una liberazione dalla costrizione della legge di gravità, creando forme capaci di conquistare la terza dimensione non come masse statiche che occupano saldamente lo spazio, ma come mobili intrecci di linee in dialogo con l’aria. Scolpire inserendo nella composizione elementi insondabili come il vuoto e l’energia: un’idea fantastica, perfettamente in linea con il clima del tempo in cui il suo lavoro inizia, la seconda metà del ‘900, gli anni epici della conquista dello spazio e delle rivoluzionarie applicazioni alla vita dell’uomo delle scoperte sulla composizione della materia”.

IMG_20180202_190408                               Carlo Lorenzetti: “Svirgolata” – 2000. ferro e alluminio sbalzato. Dimensioni: cm.170X101X24

E’ indubbio il fascino che esercitano sul visitatore le opere di Carlo Lorenzetti sia quelle che risalgono ai primi anni ottanta agli inizi  dell’attività artistica annerite da uno strato di graffite stesa sul metallo sia quelle prodotte in questi anni impreziosite dalla lavorazione a sbalzo, una tecnica che richiede grande manualità e generalmente usata in oreficeria e che Lorenzetti ha trasferito sulle lastre di rame, ferro, ottone e alluminio impreziosendo così la sua recente produzione. Per una lettura più attenta e completa di tutte le opere è indispensabile ricorrere al catalogo edito a cura della Bertolami Fine Arts che accoglie testi critici di notevole spessore fra i quali un saggio critico di Silvia Pegoraro tanto interessante quanto originale.

Roma – Palazzo Caetani Lovatelli, piazza Lovatelli, 1 fino al  28 febbraio 2018 con ingresso gratuito ed orari dal lunedi al sabato dalle ore 10,00 alle 19,00. Domenica chiuso. Info: tel.+39.06.3218464 – +39.06.32609795 – +39.345.0825223 – sito web: www.bertolamifinearts.com

Cambellotti – Conferenze e mostre su questo artista tengono a battesimo la nuova prestigiosa sede romana di Via Margutta, 53/B della “Galleria del Laocoonte” e della “Galleria W.Apolloni”.

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Il trasferimento da Via del Babuino a Via Margutta in una sede così prestigiosa che in passato ha ospitato l’Accademia Britannica fino al 1911, non poteva che essere testimoniato da uno dei maggiori artisti di scuola  e formazione romana: Duilio Cambellotti –  Roma, 10 maggio 1876 – Roma, 31 gennaio 1960 –  che ha esaltato con le sue opere, nel periodo di prima e dopo le due guerre mondiali, il territorio romano, in particolare l’agro pontino, recuperandone anche le antiche arti e tradizioni culturali.

IMG_20180201_170337                                                                                    Duilio Cambellotti: “Conca dei tori”

Fra le opere esposte si può ammirare la bellissima “Conca dei tori” che sia per la forma, ispirata alla classica ciotola contadina dell’agro pontino, che per il motivo del toro, è un chiaro riferimento alla vita, all’arte e alla cultura popolare, in tempi molto anticipati a quanto avverrà dopo la seconda guerra mondiale con la “pop art” negli Stati Uniti d’America. In questo, così come in tutte le altre opere esposte, sia di arte che di antiquariato, si possono riscontrare i voleri dei rispettivi titolari delle Gallerie, Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, di voler rappresentare ed esaltare, come avvenuto in passato,  le arti romane nelle sue più articolate forme, da quelle applicate alle classiche dell’archeologia. Duilio Cambellotti , come scrivono i suoi critici: “fu incisore, xilografo, pittore, scenografo, architetto, decoratore, arredatore, designer, grafico, cartellonista pubblicitario, progettista di suppellettili, oggettistica e componenti d’arredo, scultore, ceramista, illustratore e vide in tutte queste una finalità sociale, globale, moralistica, pedagogica al fine di renderla fruibile a tutti e, come il “maestro”, divenne l’esempio lampante di artista-artigiano per eccellenza”.

IMG_20180201_170359                           Duilio Cambellotti: “Il Sublicio” -1910/1911- Matita, carboncino e tempera bianca su carta bruna.

Il percorso artistico compiuto nel corso della sua lunga carriera ha incrociato movimenti di notevole spessore, quale l’Art Nouveau”, dalla quale trasse ispirazione agli inizi della sua carriera e alla quale era stato avviato dal padre Antonio, intagliatore e decoratore, per giungere negli anni successivi  alle avanguardie, passando, fra le altre, anche per le vetrate artistiche, é stato il “file rouge” delle due conferenze. La testimonianza dell’interesse di questo artista per l’arte della vetrata, che a Roma aveva avuto in passato importanti esempi, è offerta da quella presente nella Casina delle Civette all’interno del giardino di Villa Torlonia, raffigurante un volo di rondini, realizzata dal maestro vetraio Cesare Picchiarini su cartone di Cambellotti, esposto, insieme a molti altri, in questa galleria.

IMG_20180201_170724                                                       Duilio Cambellotti: “Le Rondini” – 1930 ca. Inchiostro e matita su carta

Nell’interessante conferenza tenuta in occasione dell’inaugurazione di questa nuova sede, il prof. Francesco Tetro ha tenuto un’interessantissima “lectio magistralis” sull’artista: “In Cambellotti tutto è mischiato antico e moderno” come afferma lo studioso. Mentre il Dott. Francesco Parisi, nel suo intervento ha parlato delle leggende romane. Seguiranno presso la sede di Via Margutta, incontri, conferenze, e dibattiti calendarizzati. Fra le tante mete di interesse culturale e turistico che possiamo consigliare a chi visita Roma, c’è la galleria in Via Margutta, n.53/B, ritenuta “la più bella della città”, dove, tanto i romani che il turista di passaggio nella nostra città, possono ammirare sia pregevoli pezzi di antiquariato che opere d’arte importanti della cultura romana e, volendo, anche acquistarne qualcuna in ricordo della suo soggiorno romano.

Per saperne di più consultare il sito web www.laocoontegalleria.it

Katharina Grosse e Tatiana Trouvè: “Le numerose irregolarità” – In mostra all’Accademia di Francia a Roma: Villa Medici, per chiudere in bellezza un accattivante ciclo di esposizioni.

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Un’inveterata tradizione vuole che le ultime edizioni  degli eventi, culturali in particolar modo, siano riepilogativi di tutti i precedenti che hanno identico tema ed occupato la stessa sede espositiva. Così anche l’ultima mostra  voluta da Muriel Mayette-Holtz , Direttrice dell’Accademia di Francia a Roma, Villa Medici, con la cura di Chiara Parisi, nata sotto l’ambizioso progetto “UNE”  sorto per mettere in un confronto artistico, interculturale e intergenerazionale per dare vita a collaborazioni ed intrecci in una visione artistica contemporanea, non ha fatto eccezione. Dal febbraio 2017 questo progetto UNE è stato lo scenario d’incontri unici che hanno fatto dialogare fra loro le diverse culture, con una particolare attenzione verso quella italiana ed europea, con quella francese. Il ciclo di rassegne che si sono succedute a Villa Medici sotto questa etichetta sono stati tutti momenti d’ incontri unici a partire da quello di Yoko Ono con Claire Tabouret; al quale si sono succeduti  quelli di Elizabeth Peyton con Camille Claudel e  Auguste Rodin; e, nella terza edizione,  Annette Messager con la “presenza” di Balthus.

I  lavori di Katharina Grosse e Tatiana Trouvé presenti in questa mostra dal titolo “Le numerose irregolarità”, quarto e ultimo appuntamento del ciclo UNE, sembrano, ad un primo esame, apparentemente  distanti fra loro come se partissero da posizioni diverse e realizzate con stili difformi. In effetti tanto le opere  della Grosse che della Trouvé, presenti in questa rassegna e create per quest’occasione, sono tra loro legate in un dialogo inedito e inaspettato. “Con i loro rispettivi progetti”, scrive la curatrice, “diversi eppure complici e complementari, le due artiste, nate entrambe negli anni Sessanta, hanno ribaltato i confini delle superfici di Villa Medici. Se Katharina Grosse elegge la pittura, intesa come membrana, a suo principale mezzo espressivo, Tatiana Trouvé indaga le infinite variabili e possibilità del disegno: la potenza imprevedibile del colore che s’intreccia con la seduzione di un oggetto scultoreo ricontestualizzato. In entrambe emerge una radicalità condivisa, fondata sull’idea di rovesciamento. Nel caso di Katharina Grosse, lo spazio in ogni sua manifestazione è esaltato dalla pittura. Non è più la tela a ospitare un paesaggio, ma è il paesaggio a farsi superficie pittorica. Con un orientamento analogo, Tatiana Trouvé architetta assemblaggi e accostamenti imprevedibili.»                                                                                sdrIn primo piano un’opera di Tatiana Trouvè ed in secondo piano, dipinta su seta, quella di Katharina Grosse. Entrambe sono esposte nella prima sala. Per usanza dell’Accademia di Francia, consolidata anche in pregresse rassegne, tutte le opere sono esposte prive di didascalie in modo da riservare al visitatore il piacere di emozionarsi di fronte al messaggio artistico. Nella sala posta all’inizio del percorso ed identificata come “Sala Zero” si trova esposta una mappa con riferimenti dettagliati di tutte le opere presentate in questa mostra.

Sono proprio le  sculture di Tatiana Trouvé che aprono il  percorso espositivo. Realizzate nel 2017, ci rimandano a forme di capanne e, come lei stessa precisa,  incorporano mappe di migrazioni antiche e odierne. Sulle pareti di rimando ed in dialogo con queste s’incontrano le opere dipinte su seta di Katharina Grosse che testimoniano la sua indiscussa capacità di moltiplicare gli spazi architettonici come nel caso dell’opera esposta nella cordonata medicea.

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Per l’occasione l’artista, aggirandosi nel giardino dell’Accademia, ha rinvenuto e utilizzato alcuni tronchi di uno dei grandi pini che Ingres fece piantare 150 anni fa nel parco di Villa Medici oggi cadente e abbatturo perchè fonte di pericolo. Le inconfondibili invenzioni di colore, Katharina Grosse hanno offerto nuova vita alla storia dell’albero  riconfigurandone il contesto di bellezza estetica e portando, “ una porzione di giardino all’interno della Villa, ”come affermato in conferenza stampa “con la temporanea dislocazione dell’elemento naturale. La  scalinata sotto il soffitto a cupola diventa così la nuova dimora di quest’albero secolare, i cui rami s’inclinano su un ampio drappeggio, ricoprendo i gradini. La sensazione è quella di trovarsi in un sensuale corpo a corpo tra le linee dell’albero e i colori della pittura che l’artista ha creato in situ”. “E’ un’opera che parla al cuore e alla mente”, nelle parole dell’artista stessa.IMG_20180131_121156Scultura di Tatiana Trouvè ispirata a motivi decorativi africani presenti nella meoria dell’artista fin dal suo lungo soggiorno in questo continente. In secondo piano s’intravede Muriel Mayette-Holtz , Direttrice dell’Accademia di Francia a Roma, Villa Medici

Le opere di  Tatiana Trouvé concludono il percorso espositivo.  Si tratta di sculture le cui aste metalliche sono testimoni di civiltà d’altri continenti  e, nello stesso tempo,  riprendendo le tracce di un percorso di transumanze e migrazioni le cui vicende sono quotidianamente sotto i nostri occhi,  offrono alla scultura  con la sua assenza di colore un più tragico risalto .

Roma – Accademia di Francia – Villa Medici – Viale Trinità dei Monti, n.1 fino al 29 aprile 2018. Maggiori informazioni tel. 08.67611- sito web www.villamedici.it