“Codice Archelogico – Il recupero della bellezza” – Le opere di Franca Pisani in mostra al Macro Testaccio reinterpretano in chiave moderna i valori umani e culturali dell’archeologia.

Donatello Urbani

Il viaggiatore responsabile che pone al centro delle proprie escursioni turistiche la cultura e la conoscenza del luogo non può mancare di visitare la rassegna allestita con le opere dell’artista Franca Pisani nel padiglione 9B  di MACRO Testaccio dal significativo titolo“Codice Archelogico – Il recupero della bellezza”.  Il  percorso espositivo, nei quattro livelli in cui è stato articolato,  presenta 47 opere tra affreschi, quadri, istallazioni e “teleri”, tutti  testimoni dell’approfondito lavoro di studio che Franca Pisani ha compiuto da anni sulla memoria di alcuni elementi primordiali della storia dell’umanità in una sorta di viaggio emozionale alla riscoperta di quattro siti archeologici d’importanza fondamentale per la storia comune di tanti popoli: Hatra, Nimrud, Bamiyan e Palmira.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 4                                       Franca Pisani: Htra e Palmira in due teleti del 2017 esposti al padiglione 9B del macro testaccio.

L’omaggio reso ai quattro siti archeologici è affidato a dieci “teleri” supporto tipico dell’arte veneziana del ’400 e del ’500.  II termine deriva dalla parola veneta teler che significa telaio. Sono grandi tele (ma senza il tipico riquadro ligneo) posizionate direttamente al muro. Sono famosi quelli di Carpaccio, Tintoretto, Palma il Giovane, Veronese e naturalmente Tiziano. Il “telero” è di lino, che per le sue preziose qualità risultava il preferito dagli artisti. Gli stessi curatori scrivono: “Erano lasciati grezzi e non sbiancati per consentire una migliore adesione dei colori, seppur di uno strato sottilissimo. La scelta di Franca Pisani di questa antica arte consente oggi sia un’indagine nella tradizione, sia un confronto drammatico con le regole che la necessaria forza espressiva impone per questi grandi oggetti d’arte. Il risultato è una sorta d’incanto che la location romana rende più coinvolgente.

“Non è una immagine che cerco, non una idea. E’ una emozione che voglio creare” è la stessa artista a tracciare la linea del proprio messaggio artistico che “mette il cuore di artista a nudo in una dichiarazione di poetica che riassume il senso di un’opera e la continuità di una radice espressiva” come scrive Duccio Trombadori,  uno dei curatori di questa rassegna.

IMG_20170928_110321Franca Pisani: “Nomadi”. Sei pezzi realizzati in tecniva mistra nel 2010. Impersonificano il popolo nuovo che recuperata la bellezza tramite il codice archeologico accompagna i visitatori  lungo tutto il percorso espositivo nel padiglione 9B di Macro Testaccio.

E’ la stessa artista che presenta il percorso espositivo in occasione della prewiew: “Il primo livello è un’installazione dove un Nomade anziano ci conduce idealmente in Afghanistan, nella

Il soggetto del primo livello é la Valle di Bamiyan vicino Kabul, ovvero il sito archeologico che era caratterizzato da due Buddha giganti scavati nella roccia, oggi non più visibili poiché distrutti dalla furia umana.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 6                                                                                  Franca pisani: “Bamijan”. Telero 2017.

Nel secondo livello un Nomade Vento fa compiere al visitatore un’incursione in Iraq, nel sito di Hatra Mosul, vicino Baghdad. Fino a poco tempo fa qui esistevano sculture raffiguranti tori con teste umane (androcefalo), i Lamassu.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 7                                                                            Franca Pisani: “Lamussu di Nimrud”. Telero 2017

Un Nomade Adolescente è il conducente del terzo livello, dove il visitatore può rivivere il fascino della città assira di Nimrud di biblica memoria, situata sul fiume Tigri, ricca di suggestione e di riferimenti al nostro passato.

Nel quarto livello un Nomade Curioso rivela infine il continuum dell’opera dedicata alla memoria dell’antica città di Palmira ed è rappresentato da L’albero di Pietra – un tronco di frassino in cui è inserito un cilindro in marmo statuario delle Alpi Apuane su cui sono stati scolpiti dei segni primordiali secondo l’antica arte dei marmi e dei graniti – che rappresenta una sorta di leitmotiv dell’attività artistica di Franca Pisani. Unitamente all’istallazione, l’omaggio a Palmira prevede anche due “teleri” dedicati all’antico anfiteatro romano.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 5                                                   Franca Pisani: ” Albero di pietra”. Tronco di frassino e marmo statutario. 2017.

Un quinto ed ultimo ciclo dal titolo “La Rinascita”, integra e arricchisce la proposta di Franca Pisani con una doppia versione di una Nomade donna, che insieme a altri “nomadi” (i precedenti che qui si ritrovano dopo il lungo cammino) e una settima figura che rappresenta “l’uomo nuovo” o “della pace”.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 1                                                      Franca Pisani: “Memoria a pezzi”. Installazione di marmo statutario. 2017

Corona, infine, i quattro livelli ed il quinto ciclo uno spazio dal titolo “Memoria a pezzi” che occupa il corridoio centrale del padiglione dove l’artista ha scelto di costruire un atrium di bellezza che si traduce in un percorso di archeologia contemporanea scandito da un migliaio di pezzi marmorei di risulta provenienti dalle cave del Monte Altissimo di Pietrasanta, le stesse utilizzate 500 anni fa da Michelangelo Buonarroti per la facciata della Basilica di San Lorenzo a Firenze, poi rimasta incompiuta. Su una sorta di “pavimento” di polvere di marmo, sono sistemati numerosi pezzi dalle forme più strane, che erano destinati al restauro o alla costruzione di famose moschee e minareti, ma anche di chiese e biblioteche; tutto materiale lapideo che si pongono in stretta connessione con i “teleri” dedicati ai siti simbolo del nostro passato comune.

Trovarsi di fronte ad opere  dal complesso e articolato messaggio artistico come quelle che oggi Franca Pisani ci presenta al Macro Testaccio,  tutto rivolto al recupero di quei valori che sono a fondamento della nostra civiltà, attraverso la bellezza, quali la pace universale ed il rispetto verso le arti, ci porta a riflettere profondamente su “una coinvolgente energia estetica: l’identità femminile e le radici misteriose della vita che camminando insieme tendono, forse, ad una originaria sorgente….” come scrivono anche i curatori di questa rassegna..

Roma MACRO Testaccio Padiglione 9B Piazza Orazio Giustiniani, 4, fino al 26 novembre 2017 con orario: dal martedì alla domenica, 14.00-20.00 (la biglietteria chiude 30 minuti prima) Chiuso il lunedì. Biglietti d’ingresso non residenti 6,00 €, residenti 5,00 €. Tariffa ridotta: non residenti 5,00 €, residenti 4,00 €. Biglietto cumulativo MACRO via Nizza + MACRO Testaccio tariffa intera: non residenti 12,50 €, residenti 11,50 €. tariffa ridotta: non residenti 11,50 €, residenti 10,50 €. Informazioni varie e riduzioni: www.museomacro.org . telefono  060608

Mao Jianhua al Vittoriano – Ala Brasini – con la mostra: “The Timeless dance – Beyond the mountains”

Mariagrazia Fiorentino

Arte e vita s’intrecciano specialmente quando corrono sulle ali della nostalgia come avvenuto visitando la mostra  che espone, fino al 26 settembre, le opere dell’artista cinese Mao Jianhua allestita nell’Ala Brasini del Vittoriano.  I bellissimi paesaggi ammirati in Cina  quali i rilievi montuosi  Monte Giallo, del monte Jizu e del monte Daming, soggetti principe nelle opere esposte, fanno rivivere riportandoli alla mente tutti quei panorami con sfondi e scenari inusuali mai visti in occidente.  Alle bellezze naturali si aggiungono poi grandi valori spirituali e culturali quali le riflessioni di profondi pensatori che hanno perfezionato l’ascendenza buddhista zen e taoista e aprendo nuovi percorsi alla medicina, alle arti marziali, alla musica fino alla tradizione letteraria e alla pittura Shan Sui (montagna – acqua), perfezionata in questi paesaggi montani già millecinquecento anni fa, alla quale la produzione artistica di Jianhua trae spunti e riflessioni. Giustamente al titolo iniziale della rassegna  è stata aggiunta una seconda parte che completa l’intera presentazione  e ne  facilita la lettura con “Beyond the mountains”.           LA_DANZA_DELL'UNIONE_3_inchiostro_su_carta_fatta_a_mano_499x191cmMao Janhua: “Opera appartenente alla serie “La danza delle ore” – Inchiostro su carta fatta a mano cm. 499,oo X 191,00 .

Così ce lo presentano i curatori: “Imprenditore a lungo impegnato a livello internazionale che, una decina di anni fa, ha saputo dare una svolta alla propria esistenza avviando un intenso percorso d’indagine dei fondamenti culturali e spirituali di certa tradizione cinese. Accompagnandosi alla costante presenza di un Maestro, guida spirituale all’esplorazione delle dimensioni più profonde del sé e insieme della natura, e non trascurando il contesto del taoismo e del buddhismo zen, Mao ha intrapreso con disciplina la pratica della meditazione e dell’isolamento, ha scoperto il rapporto empatico con la natura attraverso le montagne sacre, si è dedicato alla musica, agli scacchi e, con esiti sorprendenti, alla calligrafia e alla pittura. Il risultato di questo graduale processo, sempre in divenire, sono i suoi straordinari dipinti di paesaggi – inquadrabili nell’ampio spettro del Shan Shui – che stimolano criticamente a considerare le dimensioni della tradizione e della modernità in Cina. L’alternarsi di montagne, rocce, alberi, arbusti, acque e cielo, si presenta in maniera ritmata dove  insieme al nero che si dipana in infinite sfumature di grigio, compaiono i tramonti aranciati che rendono le atmosfere calde”.

Il percorso espositivo si articola in varie sezioni dove ciascuna sviluppa un tema ben preciso. La prima, dal significativo titolo “Origini”,  ci accompagna alla scoperta delle opere pittoriche  dei primi anni, in parte ispirate al famoso artista moderno Huang Binhong ed al particolare modo di utilizzare l’inchiostro su carta, che Mao Jianhua inizia a studiare e a eleggere quale proprio riferimento nel 2013. E’ lo stesso artista che, guardando il passato, commenta: “Mi dedico alla pittura perché la calligrafia è troppo difficile”.

“Esplorazione”, titolo della seconda sezione, ci presenta un’altra faccia dell’esistenza, dove le opere che si susseguono come in una danza sono dense di pennellate scure e fitte. “In esse”,  come scrivono i curatori, “diventa possibile rintracciare immagini che si animano: animali, piante, profili che ciascuno può trasformare e interpretare puntando l’attenzione su quanto colpisce il proprio occhio, la propria sensibilità”.

Alle opere presenti nella terza sezione, dal titolo “La chiamata del cuore” si può attribuire il potere di generare pulsazioni e mettere in moto il cuore che in “alcune opere trova momenti di sosta e di meditazione”, parole dei curatori.

LA_CHIAMATA_DEL_CUORE_15_inchiostro_su_carta_fatta_a_mano_360x145cmMao Janhua: Opera appartenente alla serie “La chiamata del Cuore”. Inchiostro su carta fatta a mano.

Un gruppo di opere presenti nella quarta sezione dal significativo titolo “Corrispondenze” ci  suggeriscono alcuni movimenti simili a quelli che ci accompagnano in una danza al suono di una musica cadenzata in un ritmo lento e coinvolgente.

Diverso è il sentire avvertito nella quinta sezione dal titolo “Metamorfosi” che c’immerge nella morfologia del paesaggio con una percezione sensoriale degli spazi e delle nature presenti nelle opere di Mao Jianhua.

“La danza dell’unione”, come suggerisce il titolo della sesta sezione, “ci accompagna in spazi e nature illimitate, di fronte a opere larghe sette metri che ci rendono senza peso, in un equilibrio armonico. Il nostro stato d’animo corrisponde perfettamente con il paesaggio, vi con-suona, nei contrasti e negli equilibri tra vuoti e pieni, oscurità e luce, rumori e silenzi. È la danza delle danze” sempre nelle parole dei curatori.

L’ultima sezione, la settima, dal titolo “Rinascita” ci accompagna nel passaggio  da un’opera all’altra, da uno scorcio all’altro, in una serie di carte di formato ridotto, presentate su più file, che includono il colore e mai escludono il vuoto. È la conoscenza di sé tramite la rinuncia a sé. È il completamento della danza senza tempo – the timeless dance.

Il catalogo che accompagna questa rassegna, con pregevoli apporti di specialisti e ricco di tavole relative alle opere in esposizione,  è a cura delle Edizioni Plan in una veste tipografica di gran pregio.

Roma- Complesso del Vittoriano –Ala Brasini – Via San Pietro in Carcere (lato fori imperiali) fino al 26 settembre con ingresso gratuito ed orario: dal lunedi al giovedi dalle 9,30 alle 19,30 – venerdi e sabato fino alle 22,00 e domenica fino alle 20,30.

“Come in cielo, così in terra” – Seul e i 230 anni della Chiesa Cattolica in Corea in mostra nel Braccio di Carlo Magno nella Città del Vaticano con ingresso gratuito fino al 17 novembre 2017

Testo di Mariagrazia Fiorentino e foto di Donatello Urbani

Il suggestivo Braccio di Carlo Magno, il più prestigioso spazio espositivo in stile Barocco nella città di Roma, riportato di recente all’originale splendore secondo il progetto di Gianlorenzo Bernini, accoglie un’interessante mostra  voluta tanto dal Vaticano quanto dall’Arcidiocesi coreana di Seul per celebrare  il riconoscimento ufficiale della chiesa cattolica coreana come istituzione autonoma e non più come una derivazione di quella cinese avvenuto il 9 settembre 1831 con il Breve di Papa Gregorio XVI^ che istituiva il vicariato apostolico di Joseon.

Breve Apostolico sull’istituzione del Vicariato Apostolico di Joseon (조선대목구장임명소칙서)                                                                                                                                                                               Il Breve Apostolico di Papa Gregorio XVI^

Quando monsignor Bruguiere della società delle missioni estere di Parigi e primo vicario apostolico per il regno Joseon, giunse ad Hanyang , l’attuale Seul,  trovò una ben organizzata comunità di cattolici che già dal 1784, malgrado le feroci persecuzioni sopportate per oltre cento anni, teneva viva e praticava il culto nella religione cattolica. Tutto era iniziato ad opera di un gruppo di giovani intellettuali guidati da Kim Beom-woo impegnati nella ricerca di nuovi e validi principi capaci di sostituire quelli confuciani, logori e non più attuali, presenti e dominanti nella società coreana alla fine degli anni settanta del XVIII^ secolo. Nel corso delle loro riunioni consultavano e discutevano le varie tesi etiche e religiose illustrate in testi letterari che erano riusciti a reperire nella vicina Cina.

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Quelle che più impressionarono  e convinsero questi giovani sulla loro validità, furono le cattoliche riportate sul catechismo, nei vangeli  e nelle scritture sacre. Essere tutti uguali di fronte a Dio e riconoscere al prossimo lo stesso trattamento che vorresti per te furono alla base delle aspirazioni che avrebbero dovuto sostituire quelle presenti nella società coreana di allora  espressi da Confucio molti secoli fa e basati su molteplici gerarchie da quella familiare a quella politica, ciascuna titolare di differenti diritti, doveri e privilegi. L’uguaglianza  predicata da Cristo fu la molla per richiedere a Roma l’invio di missionari, in mostra sono esposte varie di queste lettere, gelosamente conservate negli archivi vaticani. Nel frattempo, uno di loro, Yi Seung-hun, si recò a Pechino sia per incontrare i rappresentanti della chiesa locale che per  approfondire la conoscenza  del cattolicesimo. Al suo ritorno in patria nel 1784 si reca a casa dell’amico Yi Byeok  e lo battezza, insieme agli altri compagni, e con loro formano la prima comunità di fedeli cristiani che, negli anni a seguire, riuscirà ad avere propri sacerdoti e una presenza importante nella società coreana.

IMG_20170908_110921                                                                         Chang Woo-sung: “Madonna con Bambino” – 1954. Arcidiocesi di Seul. Tanto la Vergine Maria che il Bambino Gesù indossano gli abiti tradizionali coreani.

La nuova comunità che propugnava l’eguaglianza non fu ben accolta dalle classi dominanti e dalla stessa casa reale ed ebbe così inizio una campagna persecutoria che porterà al martirio decine di migliaia di seguaci di Cristo. Gli episodi di nascita delle comunità di fedeli e delle persecuzioni subite sono i più documentati e meglio rappresentati in questa rassegna con vari reperti, alcuni di grande suggestione come le ciotole sepolte insieme ai martirizzati e sulle quali sono riportati i nomi  dei loro proprietari, oppure con i vasi di terracotta, con le croci in bella evidenza, contenenti le derrate e prodotti di artigianato vari  da vendere nei mercati e nelle ferie locali. Il nuovo corso, con tanto di riconoscimento ufficiale, inizia nel 1895 e a tutt’oggi, malgrado l’ostracismo subito nei periodi di occupazione giapponese e della dittatura militare del  dopo seconda guerra mondiale, i cattolici sono circa sei milioni con 103 santi, 124 beati, un venerabile e 252 servi di Dio, in gran parte martiri.

IMG_20170908_110726_BURST004Opera pittorica in lacca con intagli in madreperla realizzata seguendo la tecnica artistica Najeonchiwa da più artisti, maestri nazionali quali l’ebanista Kim Euiyong, l’intarsiatore di madreperla Kang Jeong-jo ed il laccatore Sohn Dae-yun sotto la supervisione dell’artista Kim Kyung-ja, professoressa emerita dell’Università Hanyangl. La parte sinistra ricorda il passato, sono visibili i martiri incatenati, al centro il presente con la raffigurazione, fra le altre, di Adamo e Dio padre tratta dall’affresco michelangiolesco della Cappella Sistina. All’estrema destra si è voluto rappresentare il futuro che attende la chiesa  cattolica, coreana inclusa, nel quale la buona pratica della recita del rosario sarà la base di partenza per la concordia fra le nazioni, rappresentate dalle bandiere nazionali.

Le fasi salienti di questa storia che hanno interessato i tre momenti principali nel passato, nel presente e nel futuro  è stata riepilogata e raffigurata  nel dipinto in lacca con intagli in madreperla con la tecnica artistica Najeonchilwa, tipica coreana,- vedi in proposito quanto scritto in questa rubrica sulla mostra allestita a Roma  nell’Istituto di Cultura Coreana –  dalle dimensioni ragguardevoli, la sola lunghezza supera i sei metri, e dal suggestivo titolo “Alzati, rivestiti di luce” (“Surge illuminare” è il  testo latino riportato sull’opera), presentata nel 2014 in occasione della visita di Papa Francesco in Corea con la beatificazione di 124 martiri. Oltre i valori artistici e commemorativi questo dipinto realizzato dall’uomo con i prodotti della terra, con l’utilizzo della lacca e del mare con le conchiglie, simboleggia l’armonia reciproca tra il cielo, la terra e l’uomo. “L’intera composizione”, sono le parole dei curatori , “è basata sui Sipjansaengdo, dipinti popolari raffiguranti i dieci simboli della longevità, per testimoniare il desiderio di armonia fra le due Coree, il ripristino della cultura della vita e la pace nel mondo”. Centottantatre opere, tante sono presenti in questa rassegna, molte di gran pregio ed interesse culturale, che superano a piè pari  i valori artistici ed etici e si fanno interpreti di altri di maggior interesse umano.

Roma – Città del Vaticano – Braccio di Carlo Magno – fino al 17 novembre 2017 con ingresso gratuito Maggiori informazioni su www.museivaticani.va – aos.catholic.or.kr

Luminosità millenaria :”Nagion & Ottcil” – Risplende a Roma all’Istituto di Cultura Coreano.

Testo e foto di Donatello Urbani

Le tecniche che prevedono l’uso della lacca e madreperla nelle opere d’arte visiva in Corea risale alla notte dei tempi tanto da divenire un’arte che, per eccellenza, più delle altre caratterizza questa nazione, mentre in Italia  sono state introdotte abbastanza di recente e comunque mai su lacca. Trentatre fra i migliori artisti dell’artigianato simbolo della Corea sono stati invitati ad esporre a Roma, nei locali dell’Istituto di Cultura Coreano in una interessante mostra dal suggestivo titolo “Luminosità millenaria : Nagion & Ottcil”,  le loro opere realizzate con lacche e intarsi in madreperla.

IMG_20170907_194209Kim Myeongcheol – maestro delle arti e della cultura di Corea – :Affresco: “I pini dell’isola di Jeju”. Opera realizzata attraverso l’intaglio a striscioline con seghetto a maki-e, utilizzando conchiglie provenienti dalla Nuova Zelanda e da Numhae, in Corea del Sud.

Il Maestro Son Dae Hyeon, intervenuto nel corso dell’inagurazione precisa che: “La madreperla e la lacca sono materiali reperibili in natura. Per il primo, si utilizzano più di un migliaio di tipi di conchiglie iridescenti, fra cui l’abalone e le conchiglie a spirale. Si opera, attraverso diverse tecniche, sulla struttura di base dell’oggetto, che viene ultimato con la stesura di una vernice ottenuta dall’Albero della Lacca. L’opera finita non è solo un utensile non nocivo alla salute, ma anche un lavoro riconosciuto a livello artistico, che fonde, armonicamente, la tradizione con il presente”.

davHwang Samyong – Maestro artigiano del Ministero del Lavoro –  e Lee Ikjong – Maestro delle arti e della cultura di Corea -: “Ciottoli”. Le pietre provengono dal fiume Hongcheon, nella regione di Kangwondo, trattate con fibra di vetro e diversi tipi di conchiglie sminuzzate in parti di mm.0.4. Utilizzata anche la tecnica d’intaglio a striscioline sviluppata sin dal periodo Goryeo, insieme a nuovi materiali.

Se un oggetto ha come supporto una base in legno assume il nome di “Mokchil, nel caso di altro materiale si chiama  “Geonchil”, per la canapa, “Ramtaechil” per il bambu, “Jitae” su carta Hanji, “Geumtaechil”, per il metallo, “Wataechil”, per la porcellana, mentre la pittura a lacca si chiama “Chilhwa”, “Sihwa” se si usa la polvere dorata a spruzzo e “Nagak” sono chiamate le decorazioni con parti di uovo.

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Helena Kim (Kim Ju) – Maestro delle uova in lacca e madreperla della Federazione delle Organizzazioni artistiche e culturali della Corea : “Imperatrice Myeongseong” e “Ombre blu”. Classico oggetto matrimoniale che rappresenta la leggenda dell’uovo sulla ricerca dell’orige della vita.

Tutto questo offre una precisa idea di come di come “L’arte degli intarsi in conchiglia e di pittura delle decorazioni in lacca”, sono le parole di Lee Soomyoung, Direttore dell’Istituto Culturale Coreano, “ è ottenuta attraverso la combinazione di diversi pigmenti in una tradizione millenaria sviluppatasi già nel periodo dei Tre Regni, di Shilla Unificata e nel periodo Kpryo e quello Jeoson prima di giungere ai nostri giorni”. Inoltre ha tenuto a precisare che: “La verniciatura in lacca possiede tre caratteristiche artistiche peculiari, che la differenziano dalle altre tecniche. La prima è identificata con la durevole lucentezza iridescente della madreperla, la seconda riguarda la maestria nel rivestire di meraviglia le opere di artigianato, mentre l’ultima è la misteriosa originalità che, nonostante il passare del tempo, viene espressa insieme alle altre nelle lacche, incluse quelle esposte anche in questa sala che oltre richiamare l’attenzione e suscitare interesse offrono l’occasione di far conoscer 33 grandi artisti coreani”.

IMG_20170907_193859Gim Sangsu – Maestro Laccatore -: “Tavolino con motivi di fenici dipinte in lacca”. Opera realizzata con la tecnica della polvere d’oro inventata dal maestro Kim Sangsu.

Una rassegna questa di grande interesse , testimone tanto dell’arte quanto della cultura  nazionale coreana, che conferma una volta di più l’antica massima; “L’arte deve sposare la vita”.

Roma – Istituto Culturale Coreano Via Nomentana, n.12 .  La mostra “Luminosità millenaria – Nagion & Ottcil – “ fino all’11 ottobre 2017 con ingresso gratuito dal lunedi al venerdi dalle ore 9,00 alle 17,00. Consigliata la prenotazione al n. 06.441633 – e.mail: info@cullturacorea.it – sito web: www.culturacorea.it anche per informazioni ed iscrizioni alle tante attività dell’Istituto.

I nuovi scavi e restauri nell’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme hanno ridestato interesse turistico su una zona ricca di preziose testimonianze storiche, culturali e religiose.

Testo e foto di Donatello Urbani

Dall’arrivo dei piemontesi a Roma, così chiamavano i romani l’esercito italiano, l’area di Santa Croce in Gerusalemme ebbe una destinazione quasi esclusiva a caserma militare con una vasta piazza d’armi centrale attorno alla quale erano stati costruiti numerosi fabbricati. In occasione dei lavori di restauro e ristrutturazione intrapresi nel 2016 è venuto alla luce un pavimento mosaicato. Un primo esame, succeduto all’euforia iniziale, ha messo in luce chiaramente come lo stesso fosse  in stretto collegamento con due “domus” adiacenti facenti parte dei quartieri destinati ai dignitari della corte di Elena, madre dell’imperatore Costantino, qui insediatasi nel “Sessorium” – termine che indica un luogo di soggiorno imperiale- al confine con le mura aureliane.

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La prima domus è detta “dei ritratti” per i busti dei proprietari effigiati nel pavimento a mosaico in due triclini è, allo stato attuale, la più interessante fra le due. L’altra fu chiamata “della fontana” proprio per la presenza nel cortile di una fontana rivestita di lastrine di marmo bianco. Lo scavo stratigrafico, iniziato nel mese di maggio 2017, ha fornito precise indicazioni sull’intera planimetria della domus dei ritratti con un primo ambiente, forse solo parzialmente coperto, destinato ad atrio ed altri due locali di cui uno, un corridoio che era di snodo verso i diversi settori della casa, mentre l’altro, una terza stanza scoperta destinata a locale di servizio, é un ambiente delimitato da tufelli e laterizi con una vasca in cocciopesto collegata ad una canaletta di deflusso e un piano adibito a bancale e probabilmente anche alla cottura dei cibi.

burstL’interesse culturale e storico del luogo non si limita alla sola area archeologica. Destinato fin dal IX^ secolo a.C. ad area funeraria si trasformò a partire dal V^ secolo a.C. in area di grande interesse per la confluenza di tre grandi strade: Labicana, Prenestina, Celimontana e ben otto acquedotti, tra cui quello Claudio, la più antica testimonianza del comprensorio, risalente al 52 d.C., ed ancor oggi visitabile. Negli anni compresi tra il 42 ed il 38 a.C. con il riassetto urbanistico della città voluto da Augusto, l’area fu trasformata in quartiere residenziale con grandi ville e domus private immerse in magnifici e vasti giardini, conosciuti come “horti”. Famosi per la loro presenza, ancor oggi parzialmente presenti nella zona, furono quelli di Mecenate, con l’auditorium oggi raggiungibile da via Merulana, e gli Horti Variani che l’imperatore Elagabalo (218/222 d.CV.) acquisì a demanio imperiale e trasformò in una sua nuova residenza “Sessorium”, strutturata in nuclei monumentali che facevano perno su un atrio corrispondente all’attuale Basilica di Santa Croce. Della villa facevano parte anche l’anfiteatro Castrense ed il Circo Variano, utilizzati per giochi e corse di cavali, nonché le Terme Eleniane, edificate successivamente da Alessandro Severo (222/235 d.C.). La costruzione delle mura aureliane anticipò il ridimensionamento dell’intera costruzione, l’anfiteatro e il circo furono inglobati nelle mura, che  avverrà con Elena, madre di Costantino, che la destinò in parte ad alloggi privati di funzionari della corte, oltre quella destinata alla famiglia imperiale, trasformando il grandioso atrio in Cappella Palatina dedicata al culto della Croce di Cristo, ancor oggi praticato nell’omonima Basilica. Il degrado che seguì alla morte di Elena e alle tante vicende storiche accadute nella nostra città, escluso il fiorente culto religioso alla Croce di Cristo mai cessato negli anni, è decisamente finito grazie anche a questi lavori di ripristino con nuova fruibilità dell’area archeologica, nonché alla presenza di una importante istituzione quale il Museo degli Strumenti Musicali. L’area archeologica è aperta tutto l’anno su prenotazione il 1° e 3° sabato del mese, anche con visite guidate, per singoli alle ore 10,15 e per gruppi alle ore 9,00 e 11,30. Informazioni e prenotazioni sul sito web www.coopculture.it/heritage.cfm?id=65 e al numero telefonico 06.3996770.

Carlo Caldara in mostra al Vittoriano con “True Story”.

Testo di Mariagrazia Fiorentino – Foto di Donatello Urbani

Verità e realtà dovrebbero sempre essere unite e marciare di comune accordo in tutti gli eventi della nostra vita quotidiana. Carlo Caldara nella rassegna allestita nell’Ala Brasini del Vittoriano dal significativo titolo “True story”, vuole indagare su questi due concetti attraverso le sue opere nate e realizzate attraverso il corto circuito messo in piedi tra la realtà vissuta e reale, generate dagli eventi, e quella così detta virtuale dei media, del web e dei social network dove questa, pur essendo ugualmente vera attraverso una presenza su uno schermo o su altri supporti, è generata da un link di un computer. Scrivono in proposito i curatori nel catalogo prodotto da Show Eventi per Pandion Edizioni: “Carlo Caldara lavora con la presenza simultanea di immagine e parole. E le sue parole sono frasi brevissime che hanno l’aspetto di sentenze”, scritte con un linguaggio semplice nel presentare una storia che per essere vera – True Story – prosegue lo scritto ,“non ha bisogno di essere vissuta nel mondo reale, esiste una realtà virtuale che può essere ugualmente vera”.

davCarlo Caldara con alle spalle una delle due installazioni: Fili di nylon che sorreggono lettere con la sritta True Story

Lungo il percorso espositivo sono esposte due sculture, altrettante installazioni e 25 opere pittoriche realizzate tutte con materiali ecosostenibili sia metallici che compositi riciclati. Alquanto particolare è stata la realizzazione delle opere pittoriche dove sono state impiegate, in una tecnica mista, fotografie e colori ad olio su bibond (fogli di alluminio riciclato). Su ciascuna opera sono stati rappresentati i maggiori eventi, molti purtroppo irrisolti, che hanno caratterizzato questi ultimi anni della nostra società. Immigrati, asocialità, terrorismo, conquiste scientifiche e spaziali sono tutte lì impresse su materiali riciclati e drammaticamente presenti tutt’oggi nella nostra società in tante storie vere specchiate su pannelli che celano epigrammi frutto delle particolari riflessioni dell’artista.

IMG_20170724_182836                                                              Punch, 2017. Pittura e materiali vari. Dimensioni 40100

Le due installazioni invece sono composte: una da lettere appese ad un filo di nylon che compongono la frase “True Story”, mentre l’altra riporta la stessa frase su un sacco da pugile, sport che Caldara ha praticato, con il chiaro intento di proporre ai visitatori una riflessione sulla  nostra vita di tutti i giorni dove tutti siamo chiamati a combattere paure e debolezze.

Non è solo una nota di colore, ma questa mostra nel suo intero progetto espositivo sarà accolta nel Padiglione Nazionale del Guatemala in occasione della Biennale di Architettura che si svolgerà a Venezia  dall’8 settembre all’8 ottobre 2017 mentre, nei prossimi mesi, Carlo Caldara sarà protagonista d’importanti esposizioni nelle città di New York, Pechino e Parigi.

Catalogo bilingue italiano/inglese, pagine 84 costo €.18,00-

Roma – Complesso del Vittoriano – Ala Brasini – Via San Pietro in Carcere (lato Fori Imperiali)

Epos – Chao Ge, la lirica della luce. In mostra al Vittoriano

Testo di Mariagrazia Fiorentino – Foto di Donatello Urbani

IMG_20170726_195650                                                                                 Chao Ge: “Lago nella prateria”- 2017. Tempera

“La pittura è un’impresa ardua ma importante. Per quanto mi riguarda, io ho prestato costantemente attenzione all’esistenza dell’uomo, ai suoi drammi e all’eterno presente in lui” –

Paintimg i san ardous but important challenge. Asa fas as I am concerned, I constantly paid my attention to Humanity, to his dramas and to eternity in it.

Dai Pensieri di Chao Ge riportati nel catalogo.

Gli spazi che la nostra città dedica agli artisti provenienti dall’oriente, in particolare dalla Cina,  sono veramente importanti non solo per vincere il provincialismo che affligge le nostre arti visive, purtroppo sempre incombente, quanto per ristabilire il ruolo che di diritto spetta  a Roma per essere stata l’indiscussa capitale d’importanti movimenti artistici che hanno interessato per vari secoli i tempi passati. Dopo Li Chevalier, nata a Pechino ma con atelier e residenza a Parigi, accolta al Macro Testaccio, il Vittoriano, grazie ad Arthemisia, società privata leader in Italia nell’organizzazione di eventi d’arte, apre i suoi prestigiosi spazi dell’Ala Brasini, quella per intenderci riservata ai gradi eventi espositivi, all’artista Chao Ge, proveniente dalla Mongolia Interna, nazione giuridicamente facente parte della Repubblica Popolare Cinese, con una mostra dal significativo titolo “Chao Ge – La lirica della luce”.

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Chao Ge: Ricordi romani dal precedente soggiorno in Italia

Monastero di Santa Maria. Tempera                                                                                                                            Via Sacra 2008- Tempera

Lo stesso artista nel 2006 fu accolto, sempre al Vittoriano, con una piccola rassegna nella quale vennero presentate poche opere, alquanto significative e dal grande valore artistico, sempre a seguito di accordi fra i due stati, Italia e Cina.

IMG_20170726_195450                                                                                       Chao Ge: “Lago in Mongolia”- 2012. Tempera

In questa occasione il percorso espositivo accoglie circa 80 opere tra oli su tela, tempere e disegni che descrivono i luoghi ed i personaggi dell’Asia Centrale e della Mongolia Interna, terra dai paesaggi sterminati che è stata di passaggio per avventurieri e conquistatori e da sempre nel cuore dell’artista tanto da farne il soggetto maggiormente rappresentato nelle proprie opere pittoriche.

Il titolo Epos ci rimanda ai temi storici, ed un’intera sezione accoglie solo paesaggi e scenari paesaggistici, senza alterarne la naturale bellezza e che in passato furono attraversati da personaggi quali Marco Polo o Gengis Kan, solo per citarne due fra i tanti. Le linee guida che hanno ispirato le pitture sono fedeli interpretazioni delle descrizioni spesso colme di stupore, anche se fantasiose, riportate nei resoconti da ciascuno di questi eccezionali viaggiatori, oppure redatte da cronisti e storici o, come nel caso del “Il milione”, da Rustichello Pisano su dettato dello stesso Marco Polo.

IMG_20170726_190243Chao Ge: “Il corridoio di Hexi” – 2008. Opera inserita nella sezione dedicata a Marco Polo. La diversa illuminazione è stata voluta per inserire i diversi spazi temporali (giorni/notti) utili ad attraversare  questo corridoio.

Significativo in proposito é il pensiero di Chao Ge: “Vado ricercando quello spirito in grado di dare sostegno, tipico dell’umanità fin dagli albori della storia, raro in questa epoca, ma la cui esistenza è fondamentale. In un mondo in rapida trasformazione, anelo a ripercorrere tutto ciò che è perenne ed immutabile per opporlo a questo mondo esasperatamente volubile”.

“I am looking for that supporting spirit, typical of humanity since the dawn of history, rare in this time but whose existence is essential. In a world where everythingh quickly changes. I dream to rediscover immutable and perpetual things to oppose to this excessively friendship and social justice”. 

IMG_20170726_184724                                                                             Chao Ge: “Donna seduta” – 1993. Olio su tela

Epos ha identica valenza anche nella ritrattistica, altro importante filone artistico presente in questa rassegna, che s’ispira chiaramente  ai canoni della raffigurazione classica e agli insegnamenti dei grandi maestri europei del passato, come è stato rilevato dal Prof. Claudio Strinati, uno dei cocuratori italiani ed autore di un importante saggio presente nel bellissimo catalogo edito da Segni d’Arte. Significative in proposito sono state le parole dello stesso artista Chao Ge che in occasione dell’inaugurazione ha voluto mettere in risalto come tutta la sua opera sia figlia della profonda riforma avvenuta in Cina nel 1978 e che gli ha consentito di, parole sue, “potersi avvicinare  alle culture e alle arti degli altri paesi, in particolari europee ed italiane”. Una riforma, quella avvenuta in Cina, molto importante e che ha permesso a questo artista, come a molti altri, di aprire nuovi orizzonti alla propria arte e rivendicare, nel contempo, la propria personalità a livello percettivo contro tutti i tentativi di massificazione e cancellazione dell’individuo imposti precedentemente nella Cina di Mao.

IMG_20170726_195724                                                                               Chao Ge; “Berretto” – 2017. Tempera

Concetti questi che Chao Ge così riepiloga nei suoi pensieri: “Un paese o un popolo che possiede degli storici, dei letterati e degli artisti seri è in grado di determinare tra la sua gente un sistema di valori e una capacità di comprensione superiori”.

A country with historians, intellectuals and seroius artican determine among its people a higher system of values and higher understanding ability”.

Aria nuova, dunque, si respira in queste opere, fresca ed aperta a grandi spazi alla stregua di come fisicamente sono presenti nella steppa mongola investendo, in contemporanea, anche un importante “desiderio di sperimentare con l’osservatore, in una forte unione emozionale, un’arte che sia un’affermazione dei grandi valori della vita e dell’essere umano” come scrive l’altra cocuratrice Nicolina Bianchi, critico d’arte, Editore e Direttore della Casa Editrice Segni d’Arte.

Catalogo trilingue: italiano, inglese e cinese, pagine 148 costo €.15,00.

Roma – Complesso del Vittoriano – Ala Brasini – Via San Pietro in Carcere (lato Fori Imperiali) fino al 26 settembre 2017 con ingresso libero ed orari dal lunedi al giovedi 9,30 / 19,30; venerdi e sabato 9,30 / 22,00; la domenica 9,30 / 20,30.

“Swimming is Saving” – Mostra dei borsisti dell’Accademia di Francia – Villa Medici – a Roma.

Testo e foto di Donatello Urbani

Non tentate di tradurre il titolo“Swimming is Saving”. Inoltre ancora più problematici potrebbero apparire  riferimenti e legami tra questo e la mostra  allestita a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma, che accoglie le opere d’arte realizzate da quindici borsiti nel corso di quest’anno in cui hanno risieduto nella nostra città. In questa opera di decifrazione, che comunque è carica di fascino ed attrazioni, è d’indubbio aiuto quanto scrive la curatrice, Chiara Parisi: “Un titolo che non ha alcun significato apparente, un nonsense. Un titolo che nasce da un errore. Un po’come accade con quelli di sistema dovuti ai bug di programmazione. Spesso però da un errore nascono nuovi significati, realtà inaspettate. Qual è l’origine di questo titolo che potremmo forzatamente ed erroneamente tradurre come “il nuoto salva, il nuoto è salvezza, il nuoto risparmia…”? Il nuoto è una disciplina, alla stregua di tutte le arti, necessità di un’immersione in acqua così nella lettura di un’opera è importante immergersi nelle idee dell’artista e vincere, come avviene per la forza delle onde,  la resistenza offerta dai propri convincimenti per accettare quelli che vengono proposti. Di grande aiuto è senza dubbio la guida predisposta proprio per venire incontro ai visitatori e metterli nella condizione di dare un senso logico alle opere esposte nel rispetto del pensiero dei loro autori, anche per il semplice fatto che, per scelta voluta, non esistono le didascalie così come sono assenti i classici pannelli esplicativi.

dav                                                                                    Installazione realizzata da Kenny Dunkan

Il percorso espositivo che raccoglie i progetti dei quindici artisti e creativi in residenza a Villa Medici,  si articola oltre il solito spazio riservato alle esposizioni temporanee, occupando tutto quanto è disponibile a Villa Medici, dalle grotte, al giardino, all’Atelier di Balthus, incluso il bel salone della musica. Questo non solo per dare la massima risonanza ad un’esposizione che presenta dei lavori ideati appositamente, alcuni dei quali saranno esposti in autunno a Parigi, nell’ambito del festival Viva Villa ! (Città internazionale delle arti – sito di Montmartre, 30 settembre – 7 ottobre 2017), quanto per richiamare l’attenzione sulla prima esposizione del ciclo L ORO, – inteso nel doppio significato di “Loro” come artisti ed “Oro” come patrimonio culturale- concepito, negli ambiziosi progetti della Direttrice Muriel Mayette-Holtz, “come un laboratorio, un terreno di confronto in cui s’incrociano discipline molteplici ed esperienze eterogenee che nascono all’interno di Villa Medici”, come ha tenuto a precisare nel corso della conferenza stampa.

davOlivier Kosta-Thefaine con un’opera che propone una lettura incrociata di Roma, città dalle tante fontane, con Ostia Antica con pezzi di mura mescolati e calchi di conchiglie.

Di questa esposizione scrive la curatrice: ”In Swimming is Saving la memoria e la coscienza collettive sono le protagoniste nei progetti di Lancelot Hamelin, scrittore e autore teatrale, e di Lucia Piccioni, storica dell’arte; l’artista Kenny Dunkan e la paesaggista Laure Thierrée operano con la strategia dell’infiltrazione urbana e architettonica; nuove composizioni in situ sono quelle create da Benjamin Attahir, compositore, violinista e direttore d’orchestra, Alvise Sinivia, musicista e performer, e Francesca Verunelli, compositrice e pianista; i progetti degli artisti Mathieu Kleyebe Abonnenc, Eva Jospin, Olivier Kosta-Théfaine, dei fotografi Simon Brodbeck & Lucie de Barbuat e del regista Simon Rouby aprono nuovi orizzonti fisici e concettuali agli spazi classici medicei; le sensazioni sono al centro dell’esperienza proposta da Sébastien Smirou, scrittore e psicanalista; il confronto viene esplorato da Stéphanie Ovide, restauratrice tessile, in collaborazione con la grande artista Etel Adnan”.

IMG_20170713_130326Stefanie Ovide e Etel Adnan: “Leporello” con i colori rappresentativi di Roma ricavati da piante e fiori presenti nel giardino di Villa Medici

Tutte le opere sono improntate all’originalità offerta dalla città di Roma e percepita da uno straniero che vi soggiorna per un lungo periodo come nel caso di Stefanie Ovide che  affascinata dall’evoluzione storica, sociologica e materiale ha collaborato con l’artista Etel Adnan alla creazione di un “Leporello” di sette metri di lunghezza con i colori ricavati dal processo di composizione naturale delle piante di Villa Medici. Oltre l’innegabile valore ed interesse artistico presente in ciascuna opera, colpisce  e desta interesse quanto e cosa ciascun artista ha percepito vivendo nella nostra città e questo, certamente, sarà il ricordo che lo accompagnerà lungo tutto il tempo della loro carriera artistica.

IMG_20170713_130813Francesca Verunelli mentre presenta un progetto composto di tre parti con l’utilizzo di un piano suonato elettronicamente dalla macchina

Nel corso del periodo espositivo alcuni artisti si esibiranno in performance come il duo franco-tedesco Simon Brodbeck & Lucie de Barbuat che utilizzando fotografia e video installazioni,indaga la percezione del reale e la sua rappresentazione. Il loro progetto a Villa Medici, In search of Eternity III, filma la visione di un spirito errante nella regione indiana del Maharashtra.

Programma delle Performance:

13 luglio: dalle ore 19, Kenny Dunkan, Spray Boy, Giardino alle ore 19.30, Laure Thierrée, Transumanza Urbana, Giardino alle ore 20, alle 21, alle 22, Alvise Sinivia, Cordes à vide, Grand Salon

- 15 luglio: alle ore 19, alle 20, alle 21, Benjamin Attahir, Swimming is NOT Saving, Violino: Renaud Capuçon, Sale Mostra alle ore 19.30, alle 20.30, alle 21.30, Sébastien Smirou, Le doigt dans l’oeil, Salon de Musique

- 18 luglio: dalle ore 19, Laure Thierrée, Il Paesaggio Costruttore: racconto di un progetto, Cinema

- 20 luglio: alle ore 19, Lancelot Hamelin, La notte dei sogni, Villa Medici

Roma – Accademia di Francia a Roma – Villa Medici viale Trinità dei Monti, 1 – Fino al 17 settembre 2017 con giorni e orari di apertura: dal martedì a domenica, dalle 10.00 alle 19.00 (ultimo ingresso alle 18.30). Chiuso il lunedì. Biglietto unico per la mostra e per la visita guidata a Villa Medici e ai giardini: 12€ (tariffa intera) – 6€ (tariffa ridotta). Ingresso gratuito solo per la mostra. Per i gruppi scolastici é necessaria la prenotazione al servizio Didattica da richiedere per e. mail a: didattica@villamedici.it. Informazioni  Tel. +39 06 67611 – sito web www.villamedici.it

L’arte e la cultura ottomana sbarcano a Roma con una mostra su Nasuh bin Karagöz bin Abdullah conosciuto come “Matrakçı Nasuh”

Testo e foto di Donatello Urbani

 

“Tutto si dimentica con il tempo,

Ma nulla di ciò che é nel cuore e nella lingua viene dimenticato.’’

Matrakçı Nasuh

Malgrado la relativa vicinanza fra la Turchia e Italia, molto poco conosciamo delle civiltà che sono fiorite nel territorio turco, se non da specialisti e cultori,  fatta eccezione per l’arte e la cultura  bizantina alla quale ci lega la simpatia per essere una derivazione diretta dell’Impero Romano. Ben vengano, quindi, iniziative che colmino questa lacuna come quella allestita, in sinergia con prestigiose ed importanti istituzioni, nel prestigioso Palazzetto Mattei in Villa Celimontana, sede della Società Geografica Italiana, che con l’occasione festeggia anche il suo 150^ anniversario di fondazione.

Turchia

                      Sibel Gurgerner – “Iran Sultaiye” – dimensioni cm:40X60 – 2014

Anche se non se ne conosce l’esatta data di nascita, Matrakçı Nasuh, cresciuto al tempo di Bayezid II e vissuto sotto il regno di Yavuz Selim e Solimano il Magnifico, é un personaggio di grande rilievo. Il suo vero nome era “Nasuh bin Karagöz bin Abdullah el Bosnavi’’. Si sa ben poco della sua vita. “Bosnavi” indica le sue chiare origini bosniache. Sappiamo che era stato ammesso alla corte al tempo di Bayezid II e che era stato istruito presso l’Enderun, la scuola di palazzo. La prima parte del nome “Matrakci” fu acquisito da Nasuh dopo che aveva inventato un gioco/sport da lui  battezzato Matrak,- combattimento ravvicinato in cui si usano mazze di legno- divenuto in breve tempo popolare e che lui stesso praticava con buon successo. I suoi interessi, comunque, non si limitavano alle sole pratiche fisiche e sportive ma spaziavano nei più svariati campi. Matrakci Nasuh fu un personaggio dai molti talenti e le preziose testimonianze che ci ha lasciato hanno interessato varie discipline fra le quali:

- La Matematica, con una prima opera, del 1517,  che presentava delle tabelle inerenti le misure delle lunghezze e sviluppo’ il cosiddetto metodo “moltiplicatore a matrice”, che ispirò molti matematici;

- La Storia. Nel 1520, su ordine di Solimano il Magnifico, tradusse dalla lingua araba alla ottomana il famoso “Taberi Tarihi”ni “Mecma ́el-Tevârı̂h” di Muhammed b Cerir et- Taberi, una delle fonti piu’ importanti dell’islam. Una seconda edizione, stampata sulla scorta dei suggerimenti del Grand Visir Rüstema,  prese il nome di “Câmi ́el Tevârı̂h”;

- Strategie militari. In occasione della festa della circoncisione dei figli di Solimano il Magnifico- 1529- realizzò due decorazioni che riproducevano “due fortezze dotate di ruote” dotate di varie tecniche di combattimento. Questa presentazione venne apprezzata sia dal Solimano che da tutti i militari presenti tanto da trovare applicazione pratica nella campagna di Egitto riportando delle importanti vittorie. Nel 1529, tornato dall’Egitto, scrisse il “Tuhfet el-Guzât”,  testo di tecniche di combattimento ed omaggio ai reduci di guerra. In questa opera si descrivono le modalità di combattimento, uso dell’arco, dello scudo, della mazza e del cavallo con l’aiuto di numerosi schemi. Di fronte alla maestria dimostrata in ogni campo Solimano il Magnifico, con decreto del 1529, dichiarava Nasuh esempio unico al mondo per le arti islamiche e ordinava che venisse omaggiato, trattato e annoverato come “Üstad (maestro)” e “Reis (Capo)”.

- Poesia. Era solito aggiungere ai suoi testi versi poetici, spesso anche vere e proprie poesie. Il tema preferito trattato nella sua poetica era la transitorietà della vita sulla morte e sul fato come testimoniato dal breve testo all’inizio dell’articolo;

Trchia Lepanto

Sevim Ersoy – “Lepanto – Grecia” – 2014 – Commento letterario all’opera:

“E’ giunto in aiuto la mano del Signore –

Soffiando il propizio vento marino.

Si é volteggiato senza esitare un istante.

Le ancore sonostate salpate con l’aiuto del Signore”.-

Pochi anni dopo la morte di Nasuh nella baia di Lepanto si svolgerà una famosa battagli navale che vide la flotta turca annientata dalla coalizione  di flotte cristiane.

- Arti visive. Le opere di Matrakçı hanno le identiche caratteristiche proprie degli artisti rinascimentali. Gli storici dell’arte lo definiscono: il maestro ottomano del colore. Sarà identificato anche come il Leonardo dell’Oriente per il fatto di eccellere nella pittura. Nella sua opera intitolata “Beyan-ı Menazil-i Sefer-i Irakeyn’ con la quale racconta la spedizione in Iran di Solimano il Magnifico, intrapresa fra il 1534 e il 1536, si libera dai tradizionali schemi in uso fra gli artisti dell’epoca e da’ vita a una nuova corrente nota come “raffigurazione paesaggistica ottomana”. Le sue mappe topografiche diedero inizio alla “tradizione topografica” che si protrasse sino alla fine del secolo XVIII. Nella sua opera “Beyan-ı Menazil-i Sefer-i Irakeyn’ documenta tutti i luoghi presenti sulla strada che da Istanbul raggiunge Teheran passando da Tebriz e viceversa, il tutto corredato da una bellissima serie di immagini. Matrakçı Nasuh realizzò queste illustrazioni con una grande maestria disponendo le immagini una dopo l’altra come fosse un film che narri la spedizione. Oltre al carattere prettamente artistico, le sue illustrazioni sono importanti in quanto riportano anche le caratteristiche geografiche, nonchè la flora, la fauna e l’architettura presente nei vari posti. Una specialità in cui eccelleva era il colore. Dimostrazione pratica di questa sua eccellenza si trova in due libri di storia, entrambi abbelliti con miniature che hanno un ruolo importante nella storiografia ottomana. (“Tarih-i Feth-i Şikloş Estergon ve İ stol – Belgrad’’ e “Tarih-i Sultan Bayezid’’). Entrambe le opere furono realizzare e illustrate da Matrakçı Nasuh in persona. Al contrario delle scene terrestri presenti nel “Beyan-ı Menazil-i Sefer-i Irakeyn’’, opera in cui racconta la spedizione in oriente, in queste due opere dominano i paesaggi marini e costieri.

- Calligrafia.  Fu lui stesso il callgrafo dell’opera “Fetihname-i Karabuğdan’’ che racconta la spedizione in Karabuğdan di Solimano il Magnifico del 1538. Grazie a quest’opera in cui apportò una serie di innovazioni allo stile calligrafico, Nasuh divenne uno dei principali maestri della calligrafia ottomana.

- Filosofia. Nelle sue opere racconta con un approccio filosofico la storia ottomana, dai suoi albori sino al 1551. Matrakçı Nasuh ovvero “Nasuh bin Karagöz bin Abdullah el Bosnavi’’, muore nel 1564, lasciando innumerevoli opere i cui segni e influenze sono presenti ancora oggi nella vita culturale ed artistica del moderno stato turco.

Matrakçı Nasuh ci ha lasciato un meraviglioso patrimonio cartografico dal grande valore storico, artistico e grazie alla sua opera oggi noi possiamo seguire l’itinerario delle due campagne militari in Egitto ed Iran e apprezzare questa esposizione non solo in senso artistico e tecnico, ma anche in senso cronologico e storico. Il percorso espositivo, infatti, presenta 41 opere prodotte da 12 artiste turche che hanno trasferito, su piastrelle di ceramica o su tela, le immagini di cartografie urbanistiche o le miniature realizzate a mano da Matrakçı Nasuh durante le campagne militari orientale e occidentale e presenti nelle rispettive due opere Beyan-ı Menazil Sefer-i Irakeyn e Tarih-i Feth-i Sikloş Estergon ve İstol Belgrad.

Questa mostra, curata da Beste Gürsu con il coordinamento artistico della pittrice Sevim Ersoy,  arriva nella nostra città dopo essere stata esposta a Sarajevo, a Belgrado, al G20 di Antalya, ad Istanbul, a Vienna, a Tokio e a Parigi. Dopo la tappa romana si sposterà a Washington e a Budapest, per un totale di 3 continenti, 9 Paesi e 10 città.

Roma–Via della Navicella, n.12- Società Geografica Italiana- Palazzetto Mattei- Villa Celimontana-  fino al 28 luglio 2017 con ingresso gratuito.  Orari visita della mostra : lun-merc-ven 09:00-13:00 / mar-gio 09:00-17:00

Il Doppio e la Copia – Caravaggio nel patrimonio del Fondo per il Culto.

Testo e Foto di Donatello Urbani.

In occasione del trentennale della revisione dei Patti Lateranensi stipulati a seguito dell’esproprio del patrimonio artistico e immobiliare ai danni della Chiesa Cattolica perpetrato dallo Stato Italiano all’indomani della presa di Roma e la sua proclamazione a capitale dello stato, è stata allestita a Roma nelle sale della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini una interessante quanto singolare mostra composta da quattro dipinti – due copie e due originali di mano certa caravaggesca.  I soggetti ritratti sono identici così come identici sono i personaggi immortalati tutti immortalati nelle stesse situazioni: due San Francesco in meditazione e  due in La Flagellazione di Cristo.

   Caravaggio San Francesco 1                                            Caravaggio San Francesco

Chiesa dei Cappucini di Via Veneto                                               Chiesa di S.Pietro a Carpineto Romano

I due San Francesco in meditazione provengono uno, l’originale, dalla chiesa di San Pietro a Carpineto Romano, attualmente in deposito alla Galleria Nazionale d’Arte Antica, e l’altro, la copia, dalla Chiesa di Santa Maria della Concezione (conosciuta come Chiesa dei Cappuccini di Via Veneto). Questi due dipinti sono stati per lungo tempo al centro di una controversa vicenda per stabilirne, con certezza, l’autenticità, inizialmente confermata alla tela presente nella chiesa ei Cappuccini. Nel 1968 nella Chiesa di San Pietro a Carpineto Romano venne rinvenuta un’opera pittorica del tutto identica a quella conservata a Roma nella chiesa dei Cappuccini. Entrambe le tele furono sottoposte ad accurati lavori di restauro e conservativi e proprio attraverso questi e agli studi compiuti per l’occasione, è stato possibile attribuire con certezza la paternità a Caravaggio dei quella proveniente da Carpineto Romano e attualmente in deposito a Palazzo Barberini

  Caravaggio - Flagellazione                                                 Caravaggio - Flagellazione 1

Napoli: Museo di Capodimonte                                                                    Napoli: Chiesa di San Domenico

Le due pale con la Flagellazione di Cristo provengono entrambe da Napoli. La prima, originale opera di Michelangelo Merisi da Caravaggio, fa parte della collezione permanente esposta nel Museo di Capodimonte e, in origine, era esposta nella chiesa di San Domenico per volere della famiglia De Franchis che l’avevano commissionata all’artista. La seconda, copia probabilmente eseguita da Andrea Vaccaro a distanza di pochi anni da quella di mano caravaggesca, è attualmente esposta nella chiesa di San Domenico e differisce ben poco da quella originale se non in pochi particolari anatomici di alcune figure. Il contributo decisivo all’identificazione dell’originale è stato offerto da alcune indagini diagnostiche che hanno messo in luce, come afferma la curatrice Giulia Silvia Ghia in un saggio riportato nel bellissimo catalogo “il consistente numero di ripensamenti e modifiche tra cui, decisiva, una figura estranea alla redazione finale” che raffigura un domenicano che assiste alla flagellazione di Cristo.

Una rassegna questa che oltre ad appagare lo sguardo su opere pittoriche di notevole interesse estetico e scientifico, appassiona proprio per le tante curiosità che offre.

Roma – Galleria Nazionale d’Arte Antica – Palazzo Barberini – Via Quattro Fontane n.13 con orario dal martedi alla domenica dalle ore 8,30 alle 19,00. Biglietto d’ingresso intero €.10,00. Ridotto €.5,00 comprensivo anche della Galleria Corsini. Informazioni telefoniche 06.4824184 – email: Gan-aar@beniculturali.it