La presa di Porta Pia – Le celebrazione per il 150^ Anniversario

Donatello Urbani

Ancor oggi la “Presa di Porta Pia” ha in sé validi ed importanti significati tanto da meritare, nel giorno 20 settembre di ciascun anno, varie celebrazioni non solo da parte dei vincitori: gli Italiani, con i Bersaglieri del generale Raffaele Cadorna, bensì anche dagli sconfitti: il Papa con il suo esercito dove la presenza di soldati stranieri era considerevole. La figura del Papa Re già nel 1870 era abbondantemente obsoleta e gran parte del clero così detto “illuminato” che in quegli anni, al di fuori della curia romana avendo un buon numero di adepti, si augurava che la chiesa, con il suo capo avesse un ruolo diverso, più spirituale e religioso, ed abbandonasse quello del Papa Re. Così, a dimostrazione che l’evento è tutt’ora presente anche al di fuori delle istituzioni pubbliche in occasione del 150° anniversario della presa di Porta Pia, la Galleria W.Apolloni, nella propria sede di Via Margutta 53B, ha allestito un’interessante mostra che, come ha scritto il titolare della galleria presenta: “alcune opere d’arte di somma importanza accomunate dall’eloquente titolo: Lo Zuavo e i Bersaglieri, a voler accomunare, dopo tanto tempo trascorso, spente le passioni e gli odii d’allora, gli avversari di un tempo in un unico sentimento di pietà e gratitudine”. Conosciamo tutti vita morte e miracoli del Corpo dei Bersaglieri italiani, mentre è quasi caduta nel dimenticatoio la memoria degli zuavi pontifici, corpo di volontari giunti da tutti i paesi cattolici, ma in maggioranza francesi, olandesi e belgi, giunti a Roma per difendere Pio IX. In mostra la presenza di questi volontari è rappresentata da una scultura funebre in marmo a grandezza naturale del capitano Augustin Latimier Du Clésieux (Saint-Brieuc, Bretagna, 1844-1871), già zuavo a Roma, caduto l’anno successivo nella guerra franco/prussiana. L’opera fu commissionata dalla madre contessa Du Clésieux all’artista Victor Edmond Leharivel Durocher (Chanu, Orne, 1816-1878), scultore ufficiale che nel Secondo Impero collaborò con l’architetto Louis Visconti – figlio dell’archeologo romano Ennio Quirino – ad ornare l’ingrandimento del Louvre voluto da Napoleone III. Augustin Du Clésieux era l’unico figlio di una famiglia bretone molto ricca e da poco nobilitata. La scultura, come scrive il titolare della Galleria Apolloni: fu posta sopra la tomba del defunto nella cripta di una cappella neoromanica, dedicata a S.Agostino, fatta costruire adiacente alla Scuola dei Fratelli della Dottrina Cristiana nella rue Vicaire della città di Saint-Brieuc. Nazionalizzata la scuola sotto la Terza Repubblica, distrutta la cappella nel 1971 per fare posto ad un parcheggio, chissà dove tumulate le ossa del povero Augustin, la monumentale scultura è andata all’asta a Brest quattro anni fa, nel più totale disinteresse dei locali e delle autorità preposte alla tutela artistica di Francia. Questa opera fu acquistata dall’antiquario romano Marco Fabio Apolloni proprio perché il giovane e nobile zuavo, già venuto a difendere papa Mastai contro “L’Anticristo” Garibaldi, tornasse a Roma per trovarvi, si spera, una pace definitiva. Il giovane ufficiale è rappresentato ancora vivo semisdraiato su una chaise-longue neo-rococò, nell’uniforme tipica che traeva origine dall’abbigliamento dei guerrieri algerini che i francesi combatterono nel 1830, e che fu reso famoso dalle seguenti campagne militari in Crimea e in Italia durante la Seconda Guerra d’Indipendenza. Solo il colore grigio celeste, che il marmo non può rendere, distingueva gli zuavi pontifici da quelli inquadrati nell’esercito francese. Per il resto lo scalpello di Leharivel è riuscito a descrivere il ruvido panno dell’uniforme, i pantaloni a sbuffo, il kepì con visiera, le babbucce ricamate e persino i merletti della camicia da cui spunta lo scapolare che il milite cattolico portava al collo. Sul fronte della base è graffita una baionetta, al centro della quale risalta in bassissimo rilievo la medaglia al valore che gli fu consegnata il giorno del funerale. “E’ proprio un’idea da Francesi, di vestire i difensori del Santo Padre da maomettani”. Così dicevano, i romani dell’epoca a proposito della bizzarria dell’uniforme degli zuavi che, non erano però soldati da operetta, se si considera che il pur brevissimo fatto d’arme di Porta Pia costò agli italiani il doppio dei morti e dei feriti rispetto ai pontifici. Corpi nuovi, creati più o meno negli stessi anni, Zuavi e Bersaglieri avevano combattuto fianco a fianco in Crimea e nelle battaglie del ’59”. In mostra con la splendida scultura dello zuavo francese morente sono presenti la famosa tela di Michele Cammarano (Napoli 1835-1920), testimone oculare dell’entrata degli italiani a Roma: la tela alta più di tre metri fissa le ancora calde, se così si può dire, impressioni della battaglia per conquistare all’Italia la sua Capitale; il quadretto del fiammingo Carel Max Quaedvlieg (Valkenburg 1823 – Roma 1874), minuscolo in confronto al Cammarano che, entro il suo perimetro di tredici per venti centimetri, riesce a inquadrare le Mura Aureliane e la breccia formicolante di Bersaglieri, con la morte del comandante Giacomo Pagliari sull’avanscena, e gli zuavi che sparano sullo sfondo di questa visione teatrale della Breccia. Completano questa mostra celebrativa il bozzetto in scultura di Publio Morbiducci (Roma, 1889-1963) per il monumento al Bersagliere eretto davanti a Porta Pia nel 1932 e due pastelli satirici che ritraggono Charrette comandante degli Zuavi pontifici e Mons. Pacca il giovane, Prefetto pontificio. Due ritratti del Cardinale Giacomo Antonelli, uno in marmo che lo raffigura giovane, di Giuseppe De Fabris, ed uno dipinto in miniatura a smalto su pietra lavica da Filippo Severati – inventore della tecnica che andò perduta alla sua morte – che lo ritrae in trono nella sua piena dignità di Segretario di Stato, eminenza grigia e anima nera dell’ultimo Papa Re: Pio IX.

La mostra si protrae fino al 20 ottobre 2020.L’ingresso gratuito è consentito a piccoli gruppi su prenotazione o, compatibilmente, a richiesta, durante gli orari di apertura della galleria 10-13, 16-19 salvo lunedì mattina e sabato pomeriggio.

Accademia di Francia a Roma – Villa Medici – mostra “Dans le tourbillon du tout-monde” dal 10 luglio al 13 settembre 2020 a cura di Lorenzo Romito

Mariagrazia Fiorentino

La mostra dei “pensionnaires” consente, inoltre, l’opportunità di vedere la Villa con i suoi splendidi giardini, un panorama unico della città, visto dalle sue terrazze e alcuni tesori come la cisterna romana, lo scalone d’onore, luoghi non conosciuti dal grande pubblico.

1. Mikel Urquiza - “Il Quotidiano” (1)

                                                                                                Mikel Urquiza: “Il  Quotidiano”

“Una mostra collettiva che riunisce le realizzazioni degli artisti e ricercatori borsisti che operano nel vasto campo della creazione, dalle arti visive al design, dall’architettura alla musica, dal cinema alla letteratura e alla storia dell’arte. Il fotografo e artista visivo Sammy Baloji, gli architetti Frédérique Barchelard e Flavien Menu, lo sceneggiatore Benjamin Crotty, la sceneggiatrice e artista visiva Pauline Curnier-Jardin, il compositore Bastien David, il fotografo Samuel Gratacap, la storica dell’arte Valentina Hristova, lo scrittore Mathieu Larnaudie, il disegnatore e fumettista François Olislaeger, la pittrice Louise Sartor, la scrittrice Fanny Taillandier, Sébastien Thiéry, il compositore Mikel Urquiza, la designer Jeanne Vicerial, la storica dell’arte Sara Vitacca…… La mostra esplora così stati d’animo, gesti, pensieri, propone opere destabilizzate, ne fa il suo senso, ricerca modi del fare e di fare che forse diventeranno presto comportamenti sociali diffusi o magari solo ricordi di un tempo che ci ha segnato, noi che ci pensavamo autori indiscussi delle nostre vite e delle nostre opere”.

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                                                                                                                Jeanne Vicerial

Accademia di Francia a Roma – Villa Medici per ulteriori informazioni  visitare il sito villamedici.it

 

Il Museo Nazionale Romano riapre al pubblico presentando le statue bronzee del “Il Pugilatore e “Il Principe ellenistico” sotto nuova luce frutto di studi e ricerche e accurati lavori di restauro conservativo.

A cura della redazione. Foto di Donatello Urbani

I lavori di restauro e conservazione che hanno interessato le due statue bronzee, vere “star” del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, hanno offerto la buona occasione per effettuare nuovi studi e ricerche sfruttando così a pieno le opportunità offerte dalle sofisticate  tecnologie scoperte in questi ultimi tempi. In questa operazione è stata scoperta una residua quantità di terra di fusione  all’interno della statua de “Il Pugilatore” che, una volta prelevata, è stata inviata a diversi laboratori di analisi con il preciso compito di scoprire da quale territorio delle due nazioni, italiano o greco, provenga. Il responso di queste analisi, atteso per il prossimo autunno, consentirà di conoscere con certezza se la bottega artistica che ha realizzato tale capolavoro, unico per qualità artica e tecnica di fusione: “a cera persa”, appartenesse: scuola romana o ellenistica. Dubbi completamente assenti nell’altra statua de “Il Principe ellenistico” sottoposta anch’essa  alle operazioni di restauro conservativo.

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Come afferma chiaramente anche il nome  con il quale è indicato fin da quando giunse nella collezione di questo museo e che immortala un giovane dal portamento nobile, nel pieno vigore fisico e nella bellezza che offrono gli anni giovanili. Completamente diverse sono le caratteristiche presenti nella statua de “Il Pugilatore”. Rappresenta infatti un atleta avanti con gli anni, provato dalla durezza di questo sport, stanco, abbandonato dalla forza e dal vigore fisico, ferito come testimoniato dalla tante gocce di sangue rosso presenti sul corpo e rappresentate da piccole aggiunte di rame sulla fusione bronzea. Lo sguardo carico di preoccupazione e di ansia, é rivolto sulla destra, forse, verso un giudice pronto ad emettere un verdetto a lui  certamente non favorevole. Tutte queste caratteristiche rimandano a teorie proprie della cultura romana che vuole un’arte realistica priva di tutta quell’aulicità propria invece di quella cultura che ha ispirato la statuaria greca, già a partire da Fidia, prima, e Lisippo, poi.

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Tutto questo però non è sufficiente a dare  una certezza assoluta sulla sua provenienza. I bravi maestri scultorei, così come i corrispettivi maestri fonditori, erano in grado di assecondare i voleri dei vari committenti come avvenuto per quello romano che volle la statua de “Il Pugilatore” nella sua dimora posta ai piedi del colle Quirinale, quasi alla fine dell’attuale Via Quattro Novembre, dove negli anni ottanta dell’ottocento, fu rinvenuta grazie ai lavori di sbancamento necessari alla costruzione delle arterie che congiungono la parte nord/est della città a Piazza Venezia. Nel corso della conferenza stampa la Direttrice pro-tempore, Alfonsina Russo, ha voluto precisare che: “Per un mese, in via sperimentale, entrambe le sedi – Palazzo Massimo e Palazzo Altemps (nota della redazione) – saranno aperte al pubblico soltanto il pomeriggio in settimana, dalle ore 14.00 alle ore 19.45, e il sabato e la domenica dalle 10.30 alle 19.45. Una fascia oraria più consona ai cittadini romani che in queste settimane stanno vivendo con entusiasmo la riscoperta del proprio patrimonio artistico e monumentale. A Palazzo Massimo nel percorso di visita – che comprende la galleria di sculture al piano terra e la collezione di affreschi e mosaici al secondo piano – sarà possibile ammirare anche i bronzi del Principe ellenistico e del Pugilatore. Questi ultimi sono stati oggetto di un intervento conservativo, reso possibile grazie al sostegno dell’associazione senza scopo di lucro: Mecenati della Galleria Borghese – Roman Heritage Onlus”. L’intervento ha costituito per il Museo un’occasione straordinaria di ricerca, che ha rivelato novità sulla tecnica di realizzazione della lavorazione dei bronzi nel mondo antico”. Informazioni per i visitatori: Per visitare il Museo Nazionale Romano, di cui è fissata per sabato 27 giugno la riapertura anche delle altre due sedi – Terme di Diocleziano e Crypta Balbi (aperte unicamente durante il weekend, dalle ore 10.30 alle 19.45) sarà necessario acquistare il biglietto online sul sito www.coopculture.it e per assistenza e informazioni sarà possibile telefonare al call center 0639967701 o inviare una mail a info@coopculture.it. La tariffa del biglietto intero è di 10 €. Il biglietto avrà la validità di una settimana, consentendo un ingresso a tutte le sedi secondo i giorni e gli orari di apertura previsti. In occasione della riapertura, con i biglietti acquistati dal 17 giugno sarà possibile visitare anche Terme di Diocleziano e Crypta Balbi nelle giornate del 27 e del 28 giugno. All’ingresso il pubblico, che dovrà presentarsi munito di mascherina, sarà sottoposto alla rilevazione della temperatura tramite termo scanner. Mappe digitali e indicazioni del percorso di visita all’interno delle sedi museali guidano i gruppi di non più di quattordici persone che potranno entrare ogni 15’. Consentite anche le visite guidate, per lo stesso numero di persone, accompagnatore compreso. Per i titolari della Card2020 la validità è prorogata fino al 31 marzo 2021 per compensare la mancata fruizione del Museo nel periodo di chiusura.

Filippo de Pisis al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps fino al 20 settembre 2020

A cura della Redazione

Non sembri del tutto fuori luogo vedere un museo che espone collezioni di reperti archeologici, di grande interesse storico/artistico quali quelle custodite a Palazzo Altemps, che proponga opere c il sapore di una sfida con rimandi e suggestioni ad  una evocazione poetica come quelle di Filippo de Pisis (Ferrara 1896 – Milano 1956). In effetti questo artista fra gli innumerevoli interessi artistici che coltivava vi era anche quello per l’archeologia.

7. le cipolle di socrate

                                                                                        Filippo de Pisis: “Le cipolle di Socrate”

Di lui scrivono i curatori: “Poeta e pittore dal talento versatile, Filippo de Pisis è una figura senza confronti nelle vicende artistiche del Novecento italiano. Una vasta cultura, studi classici, l’interesse per l’archeologia e la passione di collezionare cose minute sin dalla giovane età: sono tutti aspetti della personalità dell’artista che a Palazzo Altemps creano una relazione quasi diretta con il gusto per il collezionismo coevo e innumerabile di Evan Gorga, mentre rimandano alla suggestione per il bello antico che aveva nutrito il gusto antiquario del collezionismo cinque-seicentesco delle famiglie patrizie romane”.

11. il piede romano

                                                                                            Filippo de Pisis: Il piede romano

La mostra allestita a Palazzo Altemps conferma, infatti, il ruolo di protagonista che ha avuto de Pisis nell’esperienza della pittura italiana tra le due guerre ponendo l’accento su una nutrita selezione di carte e acquerelli. Alle statue di dei, eroi, ai ritratti d’imperatori, possono essere avvicinati i ventotto tra disegni su carta e acquerelli con nudi maschili e teste di giovani così come gli oli dove la statuaria ideale, il frammento scultoreo, inseriti in un paesaggio ora reale ora metafisico, riecheggiano la passione archeologica. Man mano che provava a rendere la realtà del suo quadro si sentiva sempre più parte di quel paesaggio, di quello stato d’animo. Instancabile viaggiatore, Filippo de Pisis ha anche vissuto e lavorato a Roma, Milano, Venezia, il Cadore e soprattutto Parigi e Londra, che ha contribuito a creare una personale narrazione che non ha mai ceduto a correnti artistiche.

10. Colette

                                                                                                      Filippo de Pisis: Colette

La vitalità di Parigi regala a de Pisis numerose occasioni di esercitarsi nella pittura “en plein air”. Pennellate suadenti, colori accurati e segni vivaci si ritrovano nei dipinti che ritraggono la Ville Lumière – La cupola degli Invalidi (1926) – così come, in seguito a Londra. Nella pennellata breve e veloce si legge una certa influenza della pittura impressionista, ma per de Pisis il paesaggio non è un’istantanea registrazione visiva ma uno stato d’animo. Le cronache ci dicono che alla fine degli anni trenta de Pisis raggiunge una posizione più consolidata nell’ambiente artistico: le mostre parigine si susseguono, così come gli inviti ai principali appuntamenti espositivi ufficiali in Italia, dalla Biennale di Venezia alla Quadriennale di Roma.

12. Nudo, riposo del fauno

                                                                                       Filippo de Pisis: Nudo, riposo del fauno

Il 1948 segna l’inizio di un periodo difficile per de Pisis. Tornato a Parigi trova una città completamente cambiata dopo gli anni della guerra e, nonostante la fama, fatica a ritrovare i legami di un tempo e a crearne di nuovi. Nello stesso anno la Biennale di Venezia gli riserva una sala personale con oltre trenta opere degli ultimi vent’anni, ma gli viene negato il Gran Premio della Giuria per la sua omosessualità. Anche la malattia nervosa, che già si era affacciata da qualche tempo, si aggrava e lo porta a lunghi ricoveri in case di cura, principalmente a Villa Fiorita a Brugherio. Anni di così profonda sofferenza sono segnati però anche da nuove capacità espressive e intuizioni compositive innovative. Una trasformazione incisiva del suo stile che non solo si rinnova, ma rende la sua arte estremamente attuale.

9. volto di ragazzo

                                                                                           Filippo de Pisis: Volto di ragazzo

Il tratto breve, tipico della sua pittura, la semplificazione e la rarefazione dei segni si accentuano. La poesia e l’armonia, da sempre ricercate, si esprimono in opere in cui gli oggetti, ormai familiari, vivono nuove inquietudini e melanconie come ne Il Cielo a Villa Fiorita(1952), tra gli ultimi capolavori.

Roma- Museo Nazionale Romano   Palazzo Altemps   Roma, Piazza di S. Apollinare, 46 fino al 20 settembre 2020; orari   dal martedì al venerdì dalle ore 14.00 alle 19.45   (ultimo ingresso ore 19.00)     il sabato e la domenica dalle 10.30 alle 19.45   (ultimo ingresso ore 19.00), chiuso il lunedì; biglietti acquistabili unicamente online www.coopculture.it e tramite call center 0639967701, Costo intero €.10 il biglietto avrà la validità di una settimana, consentendo un ingresso a tutte le sedi del Museo Nazionale Romano secondo i giorni e gli orari di apertura previsti; per i cittadini dell’Unione Europea, di età compresa tra i 18 e i 25 anni €.2; gratuità secondo la normativa vigente. Info su  www.museonazionaleromano.beniculturali.i

Musei Capitolini – Sale espositive di Palazzo Caffarelli – Campidoglio, ai Musei Capitolini “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi”. In mostra il famoso Ragazzo morso da un ramarro e oltre quaranta dipinti degli artisti influenzati dalla sua rivoluzione figurativa

A cura della Redazione

Le sale espositive di Palazzo Caffarelli – Roma, Campidoglio – la mostra curata da Maria Cristina Bandera “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi”. La pittura di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, e della sua cerchia rappresenta infatti la centralità delle ricerche di Roberto Longhi, una delle personalità più affascinanti della storia dell’arte del XX secolo, di cui ricorre nel 2020 il cinquantenario della scomparsa. La mostra si apre con queste suggestive parole, scritte da Roberto Longhi nel 1951: “Dopo il Caravaggio, i “caravaggeschi”. Quasi tutti a Roma, anch’essi, e da Roma presto diramatisi in tutta Europa. La “cerchia” si potrà dire, meglio che la scuola; dato che il Caravaggio suggerì un atteggiamento, provocò un consenso in altri spiriti liberi, non definì una poetica di regola fissa; e insomma, come non aveva avuto maestri, non ebbe scolari.

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                                                    Valentin de Boulogne: “Negazione di Pietro” – 1615/1617. Olio su tela

Lo storico dell’arte Roberto Longhi si dedicò allo studio del Caravaggio, all’epoca uno dei pittori “meno conosciuti dell’arte italiana”, già a partire dalla tesi di laurea, discussa con Pietro Toesca, all’Università di Torino nel 1911. Una scelta pionieristica, che tuttavia dimostra come il giovane Longhi seppe da subito riconoscere la portata rivoluzionaria della pittura del Merisi, così da intenderlo come il primo pittore dell’età moderna. In mostra é esposto uno dei capolavori di Caravaggio, acquistato da Roberto Longhi alla fine degli anni Venti: il Ragazzo morso da un ramarro. L’opera, che risale all’inizio del soggiorno romano di Caravaggio e databile intorno al 1596-1597, colpisce innanzitutto per la resa del brusco scatto dovuto al dolore fisico e alla sorpresa, che si esprimono nella contrazione dei muscoli facciali del ragazzo e nella contorsione della sua spalla. Ma anche per la “diligenza” con cui il pittore ha reso il brano della natura morta con la caraffa trasparente e i fiori, come sottolineò Giovanni Baglione già nel 1642

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Nella sala introduttiva, dedicata alla figura di Roberto Longhi e alla Fondazione da lui istituita, è esposto un disegno a carboncino della sola figura del ragazzo, tratto dallo stesso Roberto Longhi, che vi appose la propria firma e la data 1930. Si tratta di un d’après, dal foglio a grandezza quasi naturale, che non solo dimostra l’abilità di disegnatore dello storico dell’arte, ma che soprattutto ne attesta la perfetta comprensione dell’organizzazione luminosa del dipinto che aveva davanti agli occhi.

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Roberto Longhi: “Ragazzo morso da un ramarro”. Disegno dal dipinto del Caravaggio. – 1930 – Carboncino su carta bianca

” Quattro tavolette di Lorenzo Lotto e due dipinti di Battista del Moro e Bartolomeo Passarotti aprono il percorso espositivo con l’intento di rappresentare il clima artistico del manierismo lombardo e veneto in cui si è formato Caravaggio. Oltre al Ragazzo morso da un ramarro è in mostra Il Ragazzo che monda un frutto, una copia antica da Caravaggio, che Longhi riteneva una “reliquia”, tanto da esporla all’epocale rassegna di Palazzo Reale a Milano nel 1951. A seguire sono esposti oltre quaranta dipinti degli artisti che per tutto il secolo XVII sono stati influenzati dalla sua rivoluzione figurativa. Tra questi è possibile ammirare tre tele di Carlo Saraceni; l’Allegoria della Vanità, una delle opere più significative di Angelo Caroselli; l’Angelo annunciante di Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo; la Maria Maddalena penitente di Domenico Fetti; la splendida Incoronazione di spine di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone.

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        Giovan Battista Caracciolo detto Battistello: Cristo morto trasportato al sepolcro- Primo quarto XVII sec. – Olio su tela

Tra i grandi capolavori del primo caravaggismo spiccano inoltre cinque tele raffiguranti Apostoli del giovane Jusepe de Ribera e la di Cristo di Battistello Caracciolo, tra i primi seguaci napoletani del Caravaggio. La Negazione di Pietro è poi il grande capolavoro di Valentin de Boulogne, recentemente esposto al Metropolitan Museum of Art di New York e al Museo del Louvre di Parigi, la cui ambientazione è un preciso riferimento alla famosa Vocazione di San Matteo di Caravaggio, nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. Con opere di rilievo sono presenti anche artisti fiamminghi e olandesi come Gerrit van Honthorst, Dirck van Baburen e soprattutto Matthias Stom. A una stagione più avanzata sono riferibili due capolavori di Mattia Preti – l’artista che più di ogni altro contribuì a mantenere fino alla fine del Seicento la vitalità della tradizione caravaggesca – e due bellissime tele di Giacinto Brandi con le quali si conclude il percorso espositivo.

Roma Musei Capitolini – Palazzo Caffarelli  Piazza del Campidoglio, 1 -Fino al 13 settembre 2020. Tutti i giorni ore 9.30 – 19.30. Preacquisto obbligatorio online da casa www.museicapitolini.orgwww.museiincomune.it – Biglietto “integrato” Mostra + Musei Capitolini per i non residenti a Roma: € 15,00 biglietto integrato intero; € 13,00 biglietto integrato ridotto. Biglietto “integrato” Mostra + Musei Capitolini per i residenti a Roma € 14,00 biglietto integrato intero; € 12,00 biglietto integrato ridotto. Ingresso gratuito per i possessori della “MIC Card” previa prenotazione obbligatoria e gratuita al numero 060608.  Preacquisto MIC card online.

World Press Photo Exhibition 2020 -La parola alle immagini. Le 139 foto finaliste del prestigioso concorso internazionale di fotogiornalismo al Palazzo delle Esposizioni dal 16 giugno al 2 Agosto 2020.

Donatello Urbani

Roma, in anteprima nazionale, ospita al piano superiore del Palazzo delle Esposizioni, le 139 foto finaliste del prestigioso concorso internazionale di fotogiornalismo che dal 1955 premia ogni anno i migliori fotografi professionisti. L’esposizione è ideata dalla World Press Photo Foundation di Amsterdam. I nomi dei vincitori dell’edizione 2020 sono stati annunciati lo scorso 16 aprile attraverso i social network; la pandemia non ha reso possibile la consueta cerimonia di premiazione che si tiene ogni anno ad Amsterdam e che inaugura il World Press Photo Festival. Per questa 63° edizione, la giuria formata da esperti internazionali, ha esaminato i lavori di 4.282 fotografi, provenienti da 125 paesi per un totale di 73.996 immagini. Sono arrivati in finale 44 fotografi, provenienti da 24 paesi.

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Yasuyoshi Chiba è risultato il vincitore della foto dell’anno con Straight Voice. Lo scatto ritrae un giovane che, illuminato dai telefoni cellulari dei suoi compagni, recita poesie nel corso di una manifestazione di protesta che reclama un governo democratico per il Sudan, durante un blackout a Khartum, il 19 giugno 2019. Parole al posto della violenza, come ha precisato Luca Bergamo, Vice Sindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Roma. La fotografia che ritrae il giovane vuole esprimere un senso profondo di speranza per un mondo migliore che va ben oltre la protesta. Gli altri premiati sono: Romain Laurendeau, “World Press Photo Story of the Year”, con Kho, The Genesis of Revolt. Kho, nel colloquiale arabo nordafricano, significa fratello. Il reportage racconta il profondo disagio della gioventù algerina che, sfidando le autorità, ha spinto il resto della popolazione a unirsi alla loro azione, dando vita al più grande movimento di protesta dell’Algeria degli ultimi decenni.

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                                                                                   Foto Fabio Bucciarelli per l’Espresso

Tra i finalisti anche sei italiani: Fabio Bucciarelli, Luca Locatelli, Alessio Mamo (classificatosi secondo nella categoria “General News, foto singola”), Nicolò Filippo Rosso, Lorenzo Tugnoli e Daniele Volpe. In mostra, per la prima volta, anche una selezione delle foto iconiche che hanno vinto il premio come Foto dell’Anno dal 1955 ad oggi. Oltre alle foto, è presente per il secondo anno anche una sezione dedicata al Digital Storytelling con una serie di video che raccontano gli eventi cruciali e la storia nascosta del nostro tempo. Una mostra questa di grande interesse  e che dimostra e restituisce al mondo intero, come ha dichiarato Francesco Zizola, coocuratore per l’Italia della rassegna, “l’enorme capacità documentale e narrativa delle immagini, rivelandone il fondamentale ruolo di testimonianza storica del nostro tempo”.

Roma: Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194 – fino al 2 agosto 2020. Orari: domenica, martedì, mercoledì e giovedì: dalle 10.00 alle 20.00; venerdì e sabato: dalle 10.00 alle 22.30; lunedì chiuso. L’ingresso è consentito fino a un’ora prima della chiusura ed esclusivamente previa prenotazione obbligatoria gratuita e acquisto del biglietto on line. Informazioni e prenotazioni: singoli, gruppi e laboratori d’arte tel. 06 39967500; www.palazzoesposizioni.it Costo del biglietto: Intero € 12.50; Ridotto € 10,00; valido anche per visitare la mostra Jim Dine

Guerrino Tramonti – Faenza 1915/1992 – alla Casina delle Civette con la mostra antologica “Alchimie di terra e di luce” – fino al 27 settembre 2020-06-11. I mille volti della ceramica

Donatello Urbani

Le arti applicate, già da vario tempo, hanno trovato a Roma, nella Casina delle Civette, la loro dimora preferita. Non poteva essere altrimenti in considerazione sia della particolare architettura del fabbricato e dell’arredo che fanno rivivere, fra l’altro, un certo sapore esoterico, sia per le belle decorazioni, in particolare vetrate, che quasi in contrapposizione sono un elogio della luce e della brillantezza.

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Su questo percorso si sono mossi e tanto la Direttrice della Casina delle Civette, dott.ssa Maria Grazia Massafra,  che le responsabili del progetto di allestimento Cloe Berni e Livia Ducoli della Galleria Sinopia, arte antica e contemporanea, design artistico, che nell’esposizione delle opere di Guerrino Tramonti, hanno prestato la massima attenzione nel farle dialogare con quelle in esposizione permanente.

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In proposito significativo è quanto scrive la dott.ssa Maria Grazia Massafra nel bel catalogo edito da EdiLet – edizioni letterarie – nel presentare le opere in esposizione che: “….si collocano magicamente negli spazi intimi ed esoterici della Casina delle Civette, dialogando con le vetrate artistiche attraverso la trasmutazione della materia in luce e colore. La stessa natura solitaria ed artistica lega l’artista Tramonti al Principe Giovanni Torlonia Jr., che esprime sé stesso con il motto – Sapienza e Solitudine – apposto sopra uno degli ingressi della sua casa alchemica….. Anche la presentazione di questo artista,  vero e proprio alchimista specie nella scelta dei colori, la dott.ssa Massafra scrive: “Guerrino Tramonti  nel corso della sua proficua e lunga attività, ha delineato un percorso di artista ben riconoscibile, in particolare nella sua produzione di ceramiche. Ha definito sempre stili innovativi dove la favola e la magia del fare giocano un ruolo importante nel design. Tramonti modella la terra con l’alchimia casuale del fuoco, creando immagini imprevedibili e non convenzionali, distanti dai canoni accademici. L’impronta materica e policroma che l’artista imprime alle sue opere e l’espressività esuberante che da esse traspare superano la tradizione e pertanto trasmigrano  verso un nuovo linguaggio.”

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Lungo il percorso espositivo che in questa occasione è stato suddiviso in due distinte aree: corpo principale della casina delle Civette e la sua “dependance”, si possono ammirare oltre cinquanta opere tra maioliche, arazzi e dipinti che coprono un arco temporale compreso tra il 1954 e il 1988. Proprio sulle pittura ad olio  si concentrerà l’ultima produzione artistica di Tramonti. Dalla “Dipendenza” può iniziare la visita all’intera rassegna. Qui troviamo una selezione di opere che, come scritto nel catalogo: “dimostrano quanto nella poetica di Tramonti sia determinante approccio globale alle arti: dalla pittura alla ceramica, alla tessitura”…, mentre all’interno del fabbricato principale si trovano esposte opere in “gres porcellanato”, come lo stesso Tramonti amava definirle, realizzate in prevalenza negli anni ‘sessanta.

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Per una più completa conoscenza di questo “artista oramai storicizzato”, come lo definiscono le curatrici Stefania Severi e Raffaella Lupi, la Galleria Sinopia: “da sempre attiva nel promuovere la scultura ceramica contemporanea, ha inserito opere dell’artista nell’articolato spazio della galleria, tra arredi antichi, scultura moderna e disign artistico, a sottolineare non solo la duttilità di inserimento che la ceramica consente, ma anche  la sua perfetta godibilità….”, come scrivono nel catalogo le suddette, Raffaella Lupi e Stefania Severinel. Catalogo edito da EdiLet – Edizioni Letterarie – pagine 87 costo €.15,00.

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Roma, Musei di Villa Torlonia, Casina delle Civette (Via Nomentana, 70), fino al 27 settembre 2020;

Sinopia Galleria, Via dei Banchi Nuovi, n.21/b- Roma – www.sinopiagalleria.com – tel.06.6872869.

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Viaggio straordinario fra i musei delle Marche.

Mariagrazia Fiorentino

La chiusura dei musei, resa necessaria per contenere la diffusione del contagio da COVID 19, oltre a causare danni economici e sacrifici occupazionali, impedisce la produzione e la fruizione di valori che mai come in questo momento costituirebbero strumenti di pubblica utilità e conforto, più che occasione di semplice godimento. Per questo, in un momento eccezionale dove è preclusa la fruizione culturale nelle forme tradizionali, la Regione Marche, la Fondazione Marche Cultura e Icom Marche si sono fatti interpreti del mondo delle attività culturali e, in particolar modo del sistema dei musei marchigiani, dando loro voce con nuovi percorsi della conoscenza, grazie a una rappresentazione digitale del patrimonio culturale marchigiano attraverso oltre 60 clip video condivisi sui canali social della Regione Marche e sul blog www.destinazionemarche.it. Queste 60 clip, prodotte da più di 30 musei, ma anche da comuni ed enti culturali marchigiani, hanno una durata di circa due minuti e sono visibili sui canali social della Regione Marche: in una playlist dedicata sul canale Youtube Marche Tourism, sulle pagine Facebook Marche Tourisme Tesori delle Marche, sull’account Twitter Marche Tourism, oltre che sul blog ufficiale della Regione.

Sala-Bellini_pala-ph-Alessandro-Giampaoli-1024x681                                                                                                  Pesaro – Musei civici – Sala Bellini

“La Regione Marche”, efferma l’assessore regionale al Turismo-Cultura, Moreno Pieroni, “vuole contribuire a contenere il sacrificio di ciascuno di noi proponendo un’opportunità alternativa di uso dei musei e delle collezioni delle Marche, con un utilizzo in digitale e virtuale, forma che resta l’unico ambito di agibilità relazionale e professionale dell’unica fruizione culturale che ci viene concessa e approfittare di questo momento per sperimentare una forma di comunicazione e promozione museale nuova e che troverà sempre più spazio in un prossimo futuro. Da non trascurare anche la grande opportunità offerta da questo Viaggio straordinario fra i musei delle Marche che vuole essere funzionale e propedeutico al Grand Tour Musei edizione 2020, in programma dal 18 al 24 maggio, che si consumerà nello spazio digitale presentando un programma articolato e nuovo nella sua proposizione”. Le proposte offerte dalle 60 clip video di Viaggio straordinario fra i musei delle Marche sono molto diverse tra loro e tali da soddisfare tutti i gusti e gli interessi. Si possono trovare molti spunti per vivere la cultura in maniera divertente e alternativa, come nel video del Museo Statale Tattile Omero di Ancona, che dedica ai bambini il racconto dell’opera “Mater Amabilis” di Valerio Trubbiani o del Museo della Carrozza, ospitato all’interno dei musei civici di Palazzo Buonaccorsi a Macerata, che propone invece un divertente tutorial per avvicinare i più piccoli alla collezione del museo.

low                                                                                                       Jesi: Museo di Palazzo Bisaccioni

Non solo,studiosi, esperti e responsabili museali accompagnano in tour guidati dei musei a porte chiuse,come nelle Sale museali di Palazzo Bisaccioni a Jesi con una guida davvero d’eccezione e nella Pinacoteca di Ascoli Piceno in cui si parla della figura della donna nella storia prendendo spunto dai quadri esposti in galleria o ancora raccontano una particolare vicenda o dettaglio legato a un’opera, come nel video del Museo Civico di Mondolfo sulla macchina oraria.Non mancano i racconti semiseri che mostrano curiosità e aneddoti delle opere conservate,quale la serie pensata per guardare all’arte con un sorriso realizzata dalla Pinacoteca di Sarnano in collaborazione con Il Circolo di Piazza Alta. La buona tradizione presente in questa regione è una garanzia per offrire una proposta di alto livello culturale alla quale se ne affiancano altrettante, tutte di grande interesse turistico, che proprio in questi giorni hanno trovato attuazione in tutta sicurezza e tranquillità. Cultura e turismo trovano nelle Regione Marche un perfetto connubio.

Per visionare le clip sopradescritte collegarsi al sito www.destinazionemarche.it

 

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Federico II e “La Cripta di Santa Margherita” a Melfi

Donatello Urbani

A Melfi, cittadina della Basilicata che nel 2019  per un gioco di vicinanza ed appartenenza territoriale ha condiviso con Matera il titolo di capitale europea della cultura, la presenza del re normanno Federico II si avverte in ogni angolo del suo centro storico. Qui, infatti, si può rivivere appieno una inusitata pagina di storia e di arte, soprattutto attraverso l’immagine di  questo regnante, che  tuttora è “stupor mundi”, come lo definirono i suoi contemporanei. Una testimonianza di questo si trova in un recondito anfratto della sua ubertosa campagna, che si stende ai piedi del Vulture, monte che tanto ricorda il germanico Hohenstaufen, da cui il nome della celebre casata. Quell’ immagine che ha portato ad un’autentica riscoperta di un luogo forse dimenticato e che oggi è sempre più meta di migliaia di turisti e studiosi, soprattutto d’oltralpe é una cripta legata alla migrazione di ordini monastici dall’Oriente all’Italia meridionale, spinti dalla lotta iconoclasta nella loro terra, e rappresenta, dell’habitat rupestre del Vulture, l’esempio più significativo per l’impianto e la decorazione pittorica. Posizionata a circa tre chilometri dal centro, nei pressi del camposanto della città, percorrendo la statale 303, Melfi – Rapolla, è documentata già dal Medioevo, periodo questi, nel comune immaginifico, tetro e buio. La corte normanna rappresentava, per molti versi, una bella eccezione a questa tendenza generale. Infatti in questo luogo, vi è un’opposta rappresentazione: un vero trionfo del colore.

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L’inaspettata prova si presenta nella chiesa rupestre dedicata a S. Margherita di Antiochia, scavata interamente nel tufo, a due campate con volte a crociera ed ampio cenobio. Di colpo ci si ritrova in un immutato habitat del 1200, dove misticità e arte si fondono nella rappresentazione di una moltitudine di santi raffigurati ora in stile bizantino, ora, come per i martiri, in stile catalano. Tutti raffigurati con colori vivi e stupendi partire dalla struttura. Siamo in pieno secolo XIII. Basti guardare l’arco ogivale mediano che alla base si chiude quasi a botte, dandoci l’aspetto della carena di una barca capovolta. Elemento questo ancor più accentuato nell’ingresso alla cella dell’eremita, quanto mai orientaleggiante. Entrando colpisce il visitatore é un inusitato affresco che deve la sua originaria grande importanza e motivo di largo interesse quella di essere la prima raffigurazione del genere in Europa, nonché premessa al ciclo delle “danze macabre”, motivo caro alla teologia di quel tempo, (Jurgis BALTRUŠAITIS – “Il Medioevo Fantastico”), che in occasione dell’ottavo centenario della nascita di Federico II ha assunto particolare importanza per essere divenuta icona dell’evento.

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L’affresco denominato “Il monito dei morti”, presenta due scheletri che si ergono in posizione verticale dall’aspetto terrificante e ripugnante, dai teschi orripilanti ed il ventre brulicante di vermi, laddove una volta vi erano gli organi vitali. A questo “memento mori” si contrappongono tre viventi, tutti in abiti da falconiere. Il primo ha la veste scarlatta ornata di ermellino, segno di regalità, guantone e falco, al suo fianco non una spada ma una daga orientale ingemmata (quasi a sottolineare il suo particolare rapporto con il mondo arabo), una barba rada e rossa, in atteggiamento ieratico e cerca, con lo sguardo e con la mano sinistra, di allontanare gli scheletri. Gli è accanto una donna dall’aspetto nordico abbastanza alta con bionda capigliatura ed occhi cerulei. Ella abbraccia amorevolmente, quasi per proteggerlo, un adolescente, anch’egli dai biondi capelli. Tutti hanno al loro fianco una borsa da falconiere, quasi scomparsa nel primo personaggio, sulla quale campeggia un fior di loto a otto petali, numero particolare caro a chi lo volle tanto presente in Castel del Monte e che lo portò impresso nel suo anello sigillo, ritrovato nella sepoltura di Palermo. Da aggiungere la magicità del numero. Inferiore al nove, che è la divinità, ed in posizione orizzontale l’infinito, quale era il potere di un imperatore. D’altronde anche per i cristiani l’otto ha la sua simbologia. E’ la Pasqua. Questi alcuni degli elementi che portano ad affermare che nell’affresco è rappresentato Federico II, la terza moglie, Isabella d’Inghilterra, e Corrado, figlio della seconda moglie, Jolanda di Brienne Nella raffigurazione, al monito si unisce un messaggio consolatorio per il popolo: la vulnerabilità di Federico II e la sua famiglia, alla pari di ogni mortale.

La cripta, ignorata dagli studiosi dell’ottocento (Schultz, Lenormant, Diehel e Bertaux), è scoperta e studiata solo nel 1899 da Giambattista Guarini, unitamente al pittore Luigi Rubino, che dota il testo, pubblicato su “Napoli Nobilissima”, dei disegni degli affreschi. Oggi la chiesa rupestre di S. Margherita è uno dei monumenti più studiati e visitati del Meridione. In particolare, da circa dieci anni, vi è un risvegliato interesse, dovuto proprio alla sensazionale scoperta dell’immagine di Federico II. A favorire il flusso di visitatori l’opera della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Matera, che ha reso leggibili gli affreschi. A questa si è aggiunta quella di alcuni volontari che l’hanno inclusa nel Distretto Culturale dell’Habitat Rupestre della regione, dando vita al progetto “per una migliore conservazione, valorizzazione e fruibilità della cripta, nella quale con chiarezza emerge la figura di Federico II”. Alla raffigurazione dell’imperatore, al centro di una sempre crescente attenzione di studiosi e mass-media, si unisce quella di altri stupendi affreschi. A iniziare da Santa Margherita, raffigurata sull’altare principale, con le “storielle” della vita a sinistra e del martirio a destra (la Santa viene flagellata, scorticata con una pettine di ferro, calata nell’olio bollente e decapitata); da S. Paolo alla sua sinistra e S. Pietro alla sua destra; al Cristo Pantocratore, attorniato da angeli, di alta scuola bizantina, sull’archivolto absidale, ai quattro evangelisti.  Completano il ciclo: S. Nicola (il cui manto presenta dei sorprendenti elementi decorativi, un insieme di puntini a grappolo, vera sigla del Maestro dell’Ordine dei Templari); S. Basilio, lateralmente a destra, figura particolarmente emblematica per i monaci basiliani;  S. Guglielmo, che a Melfi maturò l’idea di un suo ordine; S. Elisabetta, a sinistra in alto e S. Vito, in basso. Sull’arcata principale, a destra, una suggestiva raffigurazione di S. Lorenzo sulla graticola, il suo aguzzino, il sovrano che ordina il martirio, l’angelo benedicente e un meraviglioso cielo stellato.  La ricorrenza del santo, 10 agosto, è legata alla notte delle stelle cadenti e, in uno squarcio della volta celeste, appare la mano benedicente di Dio. Di fronte S. Lucia e S. Caterina con ricchi abiti bizantini. Sempre a destra, sulla parete di fondo, in alto la lapidazione di S. Stefano. Qui allo sguardo dolce del Santo si contrappone il ghigno degli aguzzini. In basso è riconoscibile S. Benedetto ed accanto, nei frammenti residui, una natività con una Madonna “dormiente” e sulla parete a fianco un’Annunciazione. Al disopra il martirio di S. Andrea, immagine di altra particolare suggestione. Sulla parete opposta, nella prima cappella, partendo da destra, altre raffigurazioni di santi di grande effetto pittorico: S. Bartolomeo, scorticato vivo, in una sorprendente rappresentazione anatomica; S. Michele Arcangelo, che insieme a quello raffigurato sull’altare, mostra un particolare culto micaelico in una perfetta iconografia bizantina e un rinnovato motivo d’interesse rappresentato dal globo nella mano sinistra dei santi, segnato, rispettivamente, da una croce nera teutonica ed una rossa, a conferma della presenza dei Templari. Inoltre S. Michele, con Raffaele e Gabriele completano, nella simbologia cristiana la SS.Trinità, mentre la sfera con croce la redenzione operata da Cristo. A seguire una stupenda Madonna in trono con bambino, S. Giovanni evangelista e altra raffigurazione di S. Margherita. Sulla parete a fianco, S. Giovanni Battista e un bellissimo Cristo in trono. E, quasi a chiudere a cerchio questo viaggio nel tempo, la scena de “Il monito dei morti”.

Una-sala-del-museo-archeologico

Ma per il visitatore, nell’uscire dalla cripta, c’è ancora un qualcosa,  non del tutto fortuito. Alle spalle dell’affresco troneggia la sagoma imponente del castello di Federico II, oggi sede di uno dei più interessanti musei archeologici nazionali, che, con la sua mole, domina prepotentemente l’intero centro abitato e, quasi certamente, è stata fonte  d’ispirazione all’ignoto eremita di questa singolare raffigurazione, dove la grandezza dell’imperatore si annienta di fronte alla morte.

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Raffaello – Le Scuderie del Quirinale ricordano il mezzo millennio della morte di questo artista con una grande mostra.

Donatello Urbani

L’arte, insieme all’armonia della bellezza e della naturalezza, hanno fatto il canone del bello artistico ridonando vitalità all’arte classica di Raffaello, principalmente nella pittura,  che è stata per tutti gli artisti che gli sono succeduti un esempio da seguire cecamente, fino a quando, alla fine dell’800, un gruppo di pittori ed architetti francesi rivoluzionarono gli interi sistemi grazie anche alle nuove tecnologie e nuovi materiali che, nel frattempo le scienze avevano messo a loro disposizione. Tutto questo non ha assolutamente posto in discussione la grandezza di questo artista. Quanto affermato alla sua morte, avvenuta quando aveva 37 anni, “ILLE. HIC. EST. RAPHAEL. TIMVIT. QUO. SOSPITE. VINCI RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI“ – Qui sta quel Raffaello, mentre era vivo il quale la Natura temette di essere vinta e mentre moriva, di morire con lui – ancor oggi resta pienamente valido, come è possibile respirare lungo tutto il percorso espositivo di questa importante rassegna presente fino al prossimo 2 giugno a Roma.

Raffaello Sanzio -Ritratto di papa Leone X-min                                 Ritratto di Leone X tra i Cardinali Giulio dè Medici e Luigi dè Rossi – Olio su tavola 1518/1519

Per questa occasione, come scrivono i curatori: “…sono stati riuniti per la prima volta più di cento capolavori autografi o comunque riconducibili a ideazione raffaellesca tra dipinti, cartoni, disegni, arazzi e progetti architettonici. A questi sono stati affiancati altrettante opere di confronto e di contesto (sculture ed altri manufatti antichi, sculture rinascimentali, codici, documenti, preziosi capolavori di arte applicata), per un totale di 204 opere in mostra, di cui 120 dello stesso Raffaello tra dipinti e disegni”.

Sagrada Familia con San Juanito, o Virgen de la rosa                                                         “La Madonna della Rosa” – Olio su tavola trasportata su tela. !518/1520

Il titolo dell’esposizione “Raffaello: 1520 – 1483” attesta, oltre qualsiasi supposizione, come si articola il percorso espositivo che parte a ritroso proprio dalla celebre “Lettera a Leone X”, scritta da Raffaello in collaborazione con Baldassarre Castiglione – divenuta anche in anni successivi  il fondamento teorico della moderna idea di tutela dei beni culturali – per giungere agli anni della piena maturità artistica passando per l’anno 1509 quando, appena ventiquattrenne, giunse a Roma divenendo quasi immediatamente famoso ed osannato per la sua arte. Prendendo a modello questo programma per percorso a ritroso nel tempo che  il visitatore attento e disponibile ad ampliare la conoscenza di questo artista, parta dal luogo di sepoltura nel Pantheon – uno dei pochi monumenti ad ingresso gratuito –  per proseguire nella visita della Galleria Borghese dove si trova esposta la “Deposizione Baglioni”, opera che Raffaello dipinse a Perugia su commissione dell’omonima famiglia. A Perugia, Raffaello, vi giunse, dalla natia Urbino, per apprendere ed approfondire le sue conoscenze sulle caratteristiche pittoriche di due grandi maestri: Perugino e Pinturicchio.

Transfiguration_Raphael                                                                                              “La Trasfigurazione di Cristo”

Inoltre, sempre a Roma, non sono assolutamente da perdere due visite: una alla Villa Farnesina in Via della Lungara, sede dell’Accademia dei Lincei, dove sono presenti gli affreschi commissionati da Agostino Chigi, il Magnifico, per proseguire poi ai Musei Vaticani, dove, oltre l’affascinante galleria degli arazzi, realizzati da artisti fiamminghi su cartoni di Raffaello – uno di questi presente in mostra – si possono ammirare sia le stanze di Leone X con la celeberrima “Scuola di Atene” presente nella “Sala della segnatura”, che, esposto al centro della Pinacoteca Vaticana,  il celebre dipinto che raffigura “La trasfigurazione di Cristo”, ritenuta dai maggiori critici e storici d’arte la più bella opera pittorica dell’urbinate, (Paolucci ed  altri). Infine,  prima di concludere l’intero percorso ad Urbino, merita una sosta la cittadina marchigiana di Cagli – provincia di Pesaro-Urbino.

Cappella feroci Cagli                                    Cagli (PU): Affresco realizzato da Giovanni Santi nella Cappella Tiranni, Chiesa di San Domenico.

Qui nella Chiesa di San Domenico si trova la Cappella Tiranni affrescata nei primi anni del 1490 dal padre di Raffaello, Giovanni Santi, che si avvalse della presenza del figlio per lasciarci, come affermano molti, un ritratto del giovanissimo Raffaello immortalato nell’angelo di sinistra. Nello stesso anno, 1494, l’undicenne Raffaello Santi già orfano di madre, perderà anche il padre. Quest’opera a buon diritto può avere tutti i requisiti per essere un testamento spirituale e un’ultima manifestazione di affetto, che il padre Giovanni lascia al giovane figlio Raffaello. Una serie d’iniziative accompagneranno questa rassegna nell’arco di tutta la sua durata; informazioni più dettagliate sul sito www.scuderiedelquirinale.it

Roma – Scuderie del Quirinale – Via XXIV Maggio, n.16 – Mostra “Raffaello: 1520 – 1483” fino al 2 giugno 2020, con ingressi contingentati, dalla domenica al giovedi dalle ore 10,00 alle 20,00  nei giorni di venerdi e sabato fino alle 22,30. Biglietto intero €.15,00 – ridotto €.13,00 per gratuità, agevolazioni, promozioni speciali e attività didattiche, consultare il sito www.scuderiedelquirinale.it. Info anche per e.mail info@scuderiedelquirinale.it e call center +39.02.92897722.