Mariagrazia Fiorentino-(press.eurintuni@virgilio.it) – Donatello Urbani (donatello.urbani@gmail.com)- Foto cuortesy Musei Vaticani
Fra le varie iniziative che hanno interessato questa Settimana Santa c’è anche la riapertura al culto dopo vari anni di chiusura della Scala Santa in Roma – Piazza San Giovanni in Laterano – . Il complesso della Scala Santa che ingloba i cui gradini costituivano l’accesso al Palazzo di Ponzio Pilato e che la tradizione popolare vuole siano stati saliti da Gesù, è affidato alla custodia fin dal 1853 ai Padri Passionisti. Fu la madre dell’imperatore Costantino, Elena, a recuperarli nel 326/327 e trasportarli a Roma, insieme ad altre reliquie della passione di Cristo quali la croce di legno, dove, una volta giunti, trovarono adeguata collocazione in vari edifici di culto. I gradini di accesso al palazzo di Pilato furono sistemati in un edificio vicino alla residenza papale in Piazza San Giovanni. Questi gradini, costituiti di marmi orientali diversa provenienza per un totale di 28 scalini, si ritiene che alcuni conservino tracce del sangue di Cristo in corrispondenza del secondo, undicesimo e ventottesimo gradino, tutti contrassegnati da croci.
Undicesimo gradino. La fede religiosa vuole che la grata di ferro sotto la croce nasconda delle gocce di sangue di Cristo lasciate dopo una caduta.
Dell’edificio in cui furono sistemati abbiamo testimonianza in un famoso disegno di Marten van Heemskerck (1498-1574), oggi al Kupferstichkabinett di Berlino, che ci mostra l’aspetto che il campo lateranense aveva intorno al 1535-36. La veduta, presa da nord-ovest, in corrispondenza di quello che è oggi il complesso ospedaliero di San Giovanni, fotografa bene lo stato di abbandono dell’area, priva ancora di articolazioni urbanistiche e dominata dalla mole severa del Patriarchio, il gruppo di edifici sorto tra IV e V secolo nei pressi della Basilica del SS. Salvatore, dove ebbe sede, a partire da Giulio I (337-352), la Cancelleria Apostolica e dove sarebbe stata fissata, nei secoli a venire, la dimora stessa del Vescovo di Roma. Per lunghi secoli questo complesso lateranense offrì al pellegrino o al devoto uno straordinario strumento di elevazione spirituale, alimentato dalla percezione stessa della scala come reliquia scritturale. La notte del 28 gennaio 1588, nell’ambito delle demolizioni ordinate da Sisto V per la riqualificazione urbanistica dell’area, l’architetto Carlo Fontana (1543-1604) poneva mano allo smontaggio della Scala Santa e al suo trasporto in un fabbricato nuovo, appositamente progettato l’anno precedente a protezione dell’antico oratorio di San Lorenzo in Palatio. L’oratorio stesso venne inglobato nel nuovo edificio, posizionandovi davanti la Scala Santa, accanto alla quale vennero sistemate due scale per lato (cinque in tutto). Il nuovo fabbricato prese il nome di Santuario della Scala Santa e la sua facciata era costituita nella zona inferiore da cinque arcate (oggi chiuse), mentre nel piano nobile si aprivano cinque finestre a timpani ricurvi e triangolari alternati, secondo il modulo adottato nel vicino Palazzo Lateranense (1585-89). Le cinque rampe portavano a un corridoio, dal quale si accedeva alle cappelle laterali di San Silvestro e di San Lorenzo, nonché al Sancta Sanctorum Lateranense.
Il programma decorativo, svolto su idee e suggestioni di eminenti dotti della Curia, comprendeva storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, secondo uno schema distributivo elaborato da Angelo Rocca e Silvio Antoniano (1587 ca.), di cui si conserva traccia in un disegno presso la Biblioteca Angelica di Roma. Uno stuolo di pittori tardomanieristi, come Paris Nogari, Giovanni Battista Ricci, Giovanni Baglione, Baldassarre Croce, Prospero Orsi, Andrea Lilio, Ferraù Fenzoni, Paul Bril, Ventura Salimbeni, Antonio Scalvati, Avanzino Nucci, Giacomo Stella, Giovanni e Cherubino Alberti, decorò volte e pareti sotto la direzione di Cesare Nebbia e di Giovanni Guerra, dando vita a un’iconografia di ascesi e contemplazione, didascalicamente intessuta di richiami penitenziali. Sulla Scala Santa propriamente detta, una sorta di Via Crucis figurata, rigorosamente modellata sui precetti tridentini, teneva conto del punto di vista ribassato di chi la ascendeva in ginocchio: ad aprire e chiudere il percorso, alle due estremità della rampa, erano i tre affreschi con l’Ultima Cena, la Crocefissione e l’Ascensione di Cristo, opere intensamente mistiche dell’orvietano Cesare Nebbia (1536 ca.- 1614 ca.). L’attenzione conservativa al complesso della Scala Santa non è mai venuta meno nel corso dei secoli, anche in considerazione della straordinaria devozione di cui ha sempre goduto il Santuario, ma è a partire dagli anni novanta del Novecento e grazie alla sinergia fra i Padri Passionisti (custodi del complesso dal 1853) con i Musei Vaticani (eccellenza mondiale nel campo della conservazione) che venne avviato il restauro del prezioso sacello del Sancta Sanctorum, risalente al 1277. Nel 1723, preso atto dell’usura del manufatto (dovuto anche alla consuetudine di raschiarne il marmo per riportarne a casa la polvere superficiale), fu preso partito di rivestire in legno gli antichi gradini, praticandovi feritoie per il loro avvistamento. La fasciatura in tavolati di noce dei 28 scalini è rimasta al suo posto fino al marzo 2019, quando il suo smontaggio per fini conservativi ha potuto rimettere in luce la gradinata marmorea originale. Negli ultimi due anni, l’intervento conservativo ha compreso anche la revisione ed il restauro della preziosa reliquia della ‘Scala Santa’. In seguito al restauro, per la prima volta, dopo trecento anni, con un’apertura straordinaria di sessanta giorni fino al 9 giugno 2019 solennità della Pentecoste, la Scala Santa sarà visibile senza la copertura lignea che dopo questo periodo sarà ricollocata. Oltre al restauro dei gradini, è stato compiuto il restauro degli affreschi delle pareti della Scala Santa e delle quattro scale che le stanno a lato, due per parte. Dal suo inizio, l’intero progetto è stato seguito dai Patrons of the Arts in the Vatican Museums ed alcuni generosi benefattori si sono impegnati a sostenere finanziariamente tutta o parte dell’intera operazione.